Donna e caregiver: dal retaggio culturale alla questione sociale

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Franco953
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Donna e caregiver: dal retaggio culturale alla questione sociale

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Riporto di seguito l'articolo pubblicato sul sito della Clinica Humanitas di Rozzano, in quanto ritengo possa essere interessante

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Donna e caregiver: dal retaggio culturale alla questione sociale
In collaborazione con Redazione Humanitas News pubblicato il 26 marzo 2018 in Malattie e cure, News
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In occasione dello scorso 8 marzo, Farmindustria in collaborazione con ONDA, Osservatorio nazionale per la salute della donna, ha promosso un incontro dal titolo “Soprattutto Donna! Valore e tutela del caregiver familiare“. Un’occasione per approfondire il ruolo che le donne rivestono nell’ambito delle cure e della salute dei propri cari e per riflettere, più in generale, sulla centralità della persona, sull’appropriatezza delle cure e del welfare in Italia.

Da un’indagine condotta da Ipsos e presentata proprio nell’incontro romano, emerge che il 92% delle donne svolge la funzione di caregiver. Un dato di cui tenere conto perché – ha sottolineato il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi – la donna assumendo questo ruolo sociale si occupa di tutti, occupandosi meno di se stessa.

Abbiamo parlato del delicato ruolo del caregiver e del perché sia rivestito prevalentemente da donne, con la dottoressa Emanuela Mencaglia, psicologa in Humanitas.

Il ruolo del contesto socio-culturale
“Il ruolo di caregiver associato al sesso femminile affonda innanzitutto le proprie radici nel contesto socio-culturale italiano e più in generale sud europeo. Nel nostro Paese è “normale” che sia la donna a prendersi cura delle persone care. Si tratta di una questione culturale che si trasforma in questione di genere. La figura della donna è da sempre associata alla maternità, alla cura, alla dedizione per la famiglia e per gli affetti: un retaggio culturale che ci appartiene nonostante i tempi stiano cambiando e sebbene il ruolo di caregiver sia rivestito sempre di più anche dagli uomini”, ha sottolineato la dottoressa Mencaglia.

Uomini e donne, approcci diversi
“Una serie di studi sociologici condotti nei primi anni del 2000, ha messo in evidenza come le donne e gli uomini abbiamo approcci di cura diversi: l’uomo tende a essere problem solver e questa sua attitudine a concentrarsi sul problema e a trovare la strada per risolverlo, fa sì che abbia un approccio più pragmatico nella gestione del parente; la donna invece ha un atteggiamento diverso, più emotivo, e dunque anche il tempo mentale e spirituale che investe è maggiore, con ripercussioni quindi anche sulla durata della presenza”, ha continuato la specialista.

L’aspettativa sociale diventa un dovere
“Da uno studio spagnolo è poi emerso come a livello sociale ci si aspetti che sia la donna a gestire e a prendersi cura della salute e del benessere dei propri familiari, ma che in sua assenza possa farlo tranquillamente un uomo.

Una lettura che conferma come si tratti di una questione culturale: la società determina a chi spetta il ruolo di caregiver e questa aspettativa sociale si trasforma in un dovere sottinteso per la donna, che si sente chiamata a ricoprire questo ruolo. Come se non potesse fare altrimenti, come se l’assunzione di questo tipo di responsabilità la qualifichi in quanto donna a tutti gli effetti, nella sua completezza e integrità.

Occorre però sottolineare che questo trend sta cambiando e che sono in crescita gli uomini che condividono con le proprie compagne o con i propri familiari la gestione della quotidianità, ma affinché il cambiamento passi dall’essere reale a essere anche culturale ci vuole tempo”, ha precisato la dottoressa Mencaglia.

Il ruolo della disuguaglianza sociale
“Il fatto che le donne si prendano a cuore la situazione dei propri cari e se ne facciano carico non può essere solo ricondotto a una questione culturale. Il tema è al contempo complesso e delicato e concerne diversi aspetti.

Le donne, in genere, non sono inclini a farsi aiutare, e spesso si vantano della capacità “multitasking”. Mentre l’uomo percepisce l’aiuto esterno come un sollievo, la donna lo legge come una sorta di critica a se stessa e lo traduce, in molti casi, con il non sentirsi capace nelle diverse situazioni, il non essere all’altezza. Pertanto le donne tendono a non chiedere aiuto, a concentrare tutto su di sé affidandosi solo alle proprie forze, senza rinunciare a nulla. Per cui, all’impegno quotidiano (professionale, familiare e personale) si aggiunge un eventuale carico come quello richiesto a chi ha un figlio o un parente ammalato da accudire, un familiare che sta seguendo un ciclo di cure particolari, etc.

Nel nostro Paese, poi, è alta la disoccupazione femminile e dunque le donne in molti casi possono occuparsi dei propri cari perché forzatamente libere da impegni lavorativi; altre scelgono di stare a casa perché la loro retribuzione è spesso, anche a parità di mansioni, più bassa rispetto a quella dei colleghi uomini, e non copre la spesa per una badante.

Lo scenario è complesso e gli aspetti in gioco sono molteplici e spesso diversi da caso a caso; non è dunque così facile tracciare un quadro esaustivo della situazione. Il caregiver, uomo o donna che sia, svolge di certo un ruolo di primo piano nella gestione di un familiare in difficoltà, un ruolo che comporta impegno, responsabilità e fatiche, fisiche e psicologiche. È bene quindi porre attenzione ai caregiver e alle loro esigenze, per far sì che continuino ad avere la forza e gli strumenti per sostenere le situazioni di fragilità in cui sono coinvolti”, ha concluso la dottoressa Mencaglia.
“Non è tanto quello che facciamo, ma quanto amore mettiamo nel farlo. Non è tanto quello che diamo, ma quanto amore mettiamo nel dare.”
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