Epatocarcinoma multifocale

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Veronica90
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Iscritto il: mar 7 lug 2020, 18:57

Epatocarcinoma multifocale

Messaggio da Veronica90 »

Buongiorno, sono qui per raccontare la storia di mio papà e per far si che nessuno trascuri mai i propri problemi di salute, come invece ha fatto lui.
Papà all’età di 20 anni, dopo alcuni esami di routine (eseguiti solo perché consigliati da mia madre), scopre di avere le transaminasi alte. Essendo un campanello d’allarme riconducibile a un problema al fegato, la prima cosa importante da fare sarebbe stata approfondire la causa, cosa che non fece mai.
Entrò a quell’età a lavorare in una fabbrica e ci rimase per 39 anni, anni in cui regolarmente eseguiva degli esami del sangue obbligatori al lavoro e regolarmente i risultati venivano nascosti da lui. Diceva sempre che era tutto ok e effettivamente lui fisicamente era una roccia, mai stato male. Passano così 39 anni.
Marzo 2020: febbre, spossatezza, tosse,dice di stare bene e di voler andare al lavoro ma viene messo in malattia dal medico curante per un’influenza/bronchite e gli viene prescritta una cura antibiotica via telefono, causa Covid.
Dopo due settimane dall’inizio di questo malessere, ignari del fatto che sarebbe stato solo l’inizio, una mattina mentre è intento a portare la legna in cucina si sente male, dice di non riuscire a respirare e si accascia sul divano riprendendosi poco dopo. Mia madre desidera chiamare l’ambulanza ma lui si rifiuta in maniera irremovibile. Decidiamo così di chiamare il medico curante che viene a casa per visitarlo. La saturazione è al limite, le gambe sono gonfie e anche il ventre è particolarmente gonfio (avevo notato già da un po’ questo suo gonfiore addominale ma non dissi nulla).Deve andare al pronto soccorso, c’è qualcosa che non va. Si prepara in preda al panico e alle lacrime dicendo che non vuole andarci perché tanto poi lo tratterranno (forse sapeva che sarebbe saltata fuori questa storia).
Primo ricovero, diagnosi: embolia polmonare e cirrosi epatica. Eseguono una Tac per escludere un eventuale tumore al fegato, viene escluso inizialmente e confermato successivamente poiché nella prima Tac non erano riusciti a vederlo (?). La diagnosi è un colpo al cuore: epatocarcinoma multifocale in fase avanzata.
Viene rassicurato dai medici che gli dicono di stare tranquillo perché ci sono pazienti nelle sue stesse condizioni da 10 anni e negli ultimi anni la medicina ha fatto progressi a riguardo e ci sono le cure.
Viene dimesso e rimandato a casa. Inizia subito il ciclo di eparina per l’embolia, il fegato verrà trattato successivamente “viste le buone condizioni generali del paziente”(?). Passano 10 giorni, papà deve svegliarsi per fare l’iniezione di eparina ma non si sveglia, continua a dormire senza nessuna reazione ai richiami di mia madre. Chiamiamo l’ambulanza e viene ricoverato per la seconda volta: encefalopatia.
Torna a casa dopo qualche giorno, è stanco, apatico, non ride più, non può fumare e non può bere il suo adorato vino a cena quindi per lui quella non è vita. Inizia la cura antitumorale in pastiglie. Inizialmente un dosaggio basso, passano due settimane e lo accompagno alla visita di controllo. L’epatologo dice che il fegato è meno gonfio, si procede con dosaggio pieno.
Da qui perde completamente le forze, dice che quella cura lo sta uccidendo, che non sta meglio ma peggio. Passano 12 giorni dal secondo ricovero, entra di nuovo in encefalopatia, questa volta impiega più tempo a riprendersi. Viene dimesso. Le sue condizioni peggiorano, mentalmente sembra leggermente rallentato, fa fatica a parlare, la notte non dorme perché dice di avere un prurito fortissimo, inizia a diventare giallo. Il viso, gli occhi, fino alle spalle. Il suo epatologo dice che il prurito è dato dalla secchezza della pelle così ogni notte lo idrato con una crema apposita ma non vi è nessun miglioramento. Manca una settimana alla visita di controllo e papà desidera tanto un paio di scarpe Adidas da indossare per andarci. Le ordino subito e dopo pochi giorni arrivano, lui è felicissimo. Papà intanto si sente gonfio, ha nausea, si provoca il vomito perché dice che lo aiuta a stare meglio. Io pretendo di parlare col suo epatologo perché ogni giorno che passa ormai c’è un sintomo nuovo. Ci parlo, decide di anticipare la visita dicendo che in quella settimana ha più posti disponibili. Premetto che non ho mai creduto fosse quello il motivo, penso l’abbia fatto poiché quei sintomi rappresentavano probabilmente gli ultimi giorni di vita. Dal venerdì viene anticipata al lunedì.
Lunedì mattina siamo pronti, gli metto le scarpe nuove, la camicia e con tanta fatica si parte. Lascio mamma e papà all’ospedale e vado al lavoro. Alle 19:30 papà è ancora in ospedale, mi chiama e mi dice che per la terza volta stanno tentando di eseguire un esame del sangue che fallisce. L’epatologo chiama mia madre dicendole che hanno consigliato a papà il ricovero per rimetterlo un po’ in sesto ma dice anche che il fegato non ha risposto alla cura e gli esami del sangue non sono positivi. Papà vuole assolutamente tornare a casa ma alla fine mamma riesce a convincerlo, lo ricoverano. Mi chiama la stessa sera alle 00:30, noto subito che non si è accorto dell’orario e del fatto che sia tardi.
Mi chiede come stiamo io, mamma e mio fratello. Rispondo mentendo: “bene”.
Chiede di parlare con mamma che dorme già, così chiede di parlare con mio fratello. Riprendo il telefono e saluto papà dicendogli: mi raccomando papi eh, sii forte, abbi pazienza. Vedrai che andrà meglio. Ci sentiamo domani mattina, ti voglio bene.
Entro nel panico, sento che papà sta entrando per la terza volta in encefalopatia, chiamo in gastroenterologia ma è tardi e nessuno risponde. La mattina successiva non chiama papà, come faceva durante i suoi ricoveri, chiama l’epatologo. Le condizioni di papà sono peggiorate. È entrato nuovamente in encefalopatia, seguirà poco dopo il coma e la sedazione. Papà ci lascia martedì 9 Giugno alle 12:28. Per me è come se mi avesse lasciato a Marzo, mi mancava già perché non era più lui.
Da quando abbiamo scoperto della presenza del tumore, di quel tipo di tumore, non sono mai andata a cercare nulla su internet. Solo dopo la sua morte ho deciso di informarmi e ho scoperto che non c’è nessuna possibilità di sopravvivenza, se non per un massimo di qualche anno ma in una percentuale molto bassa. Papà era portatore di epatite B e C (l’abbiamo scoperto dopo la sua morte, nemmeno lui lo sapeva) la conseguenza è stata prima cirrosi e poi tumore, se fosse intervenuto 20 anni fa forse ora sarebbe ancora qui.
Mi chiedo questo: perché i medici hanno mentito? Perché hanno dato delle speranze che proprio di fronte a quel tipo di tumore sono pari a zero? Perché non hanno detto almeno a noi che stava morendo?
Dentro me sentivo che non sarebbe andata bene ma ho deciso di fingere per quasi tre mesi, di dare tanta speranza e forza a papà. Ogni giorno l’ho abbracciato, baciato, coccolato, incoraggiato nonostante mi sentissi morire dentro. Qualcosa mi suggeriva che non avrei avuto molto tempo per farlo.
Per 59 anni papà ha vissuto come voleva, facendo ciò che voleva. Andare a caccia, fumare, accompagnare i suoi enormi pasti (poco sani) con del buon vino. Queste erano le sue gioie. Questa è la sua storia.
Papà, perdonami se ti ho mentito. Perdonami se ti ho promesso che ne saresti uscito. Perdonami se ti ho detto che il malessere era dato dalla cura e invece era conseguenza della malattia ormai in fase terminale.
Hai sempre preso la vita così, con leggerezza, senza privarti mai di nulla, e senza preoccuparti della tua salute. Per te anche solo fare una normale visita era una scocciatura, però sono sicura che non avresti mai pensato sarebbe andata a finire così.
Sono passati quasi due mesi da quando sei andato via e mi manchi come l’aria.
Sarai sempre il mio migliore amico, il mio complice e compagno di risate. Nessuno potrà mai colmare il dolore immenso che provo per averti perso.
A volte mi arrabbio con te perché non sei andato via per una fatalità, sei andato via per colpa del tuo menefreghismo ma tu semplicemente eri fatto così.
Mi manchi tanto papà.
vale3991
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Re: Epatocarcinoma multifocale

Messaggio da vale3991 »

Ciao Veronica,
capisco come ti senti, il tuo dolore è anche il mio. Ho perso la mia mamma (praticamente una coetanea di tuo papà, aveva 57 anni) due settimane fa. La mia mamma lottava da più di un anno e mezzo contro un cancro alla cistifellea che aveva metastatizzato al fegato. Un cancro che non lascia scampo. Io sono sempre stata molto realista sulla situazione, sapevo che le probabilità di guarigione erano quasi nulle, ma in questi quasi 20 mesi ho sperato. Ho sperato fino a che c'è stato un barlume, seppur minuscolo, di speranza, ma dentro di me sapevo. Sapevo che avrei perso mia madre nel giro di poco (speravo potesse godersi almeno qualche mese di pace, mi sarei accontentata di pochi mesi di tregua, ma non ci sono stati concessi nemmeno quelli) e ho elaborato tante cose nel corso della malattia. Ho vissuto la sua morte con relativa serenità, anche e soprattutto perché le sue ultime settimane sono state una vera e propria tortura, per lei in primis ma per tutti noi. La sua morte, per certi versi, è stata un sollievo. Sapere che, dovunque lei sia (non sono credente, ma non riesco a concepire che dopo la morte non ci sia nulla) non sta più soffrendo, mi dà più conforto di quello che avrei pensato. Sai, prima quando sentivo dire "ha smesso di soffrire" in riferimento alle persone morte dopo una malattia, non lo capivo, mi è sempre sembrata una frase fatta. Dopo aver vissuto la malattia di mia madre, dopo aver vissuto la sua fase terminale (che è durata circa un mese) , dopo averla vista piangere dal dolore, dopo averla sentita gridare aiuto, dopo aver visto l'angoscia nei suoi occhi, la morte non poteva che essere considerata, da me e dalla mia famiglia, una liberazione da tutto quel dolore e quella sofferenza. Lo era anche per lei, che negli ultimi momenti di lucidità aveva chiesto a papà di essere portata in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito.
La mia mamma è fisicamente morta da sole due settimane, ma per me non c'è più da un mese e mezzo. Aveva dei dolori atroci, costanti. Non c'era ora del giorno in cui stesse bene. Ormai cìera solo il corpo. Non era più lei, non parlava più, si lamentava solo dei forti dolori, era uno strazio.
Siamo sulla stessa barca, non ho grandi consigli da darti, ne ho solo uno: non tormentarti con i se e con i ma. Non portano a nulla. Anche io prima mi fermavo a pensare se mamma si sarebbe salvata, se avesse acconsentito ad andare all'ospedale al primo dolore (avvertito un mese prima dal ricovero), se avessero agito più tempestivamente... poi mi sono resa conto che è inutilmente doloroso soffermarsi su queste cose. Ci vorrebbe una macchina del tempo per cambiare il passato e una palla di vetro per prevedere il futuro. Non possiamo avere nessuna delle due cose.
Non pensare ai forse, ti faresti ancora più male, un male non necessario. Il dolore è già forte di suo, non serve metterci il carico da 90.
Ti abbraccio e ti sono vicina,
Valentina
Abbraccia questo vento e sentirai che il mio respiro è più sereno
 


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