Anniversario della morte di Veronesi- Testimonianza

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Franco953
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Anniversario della morte di Veronesi- Testimonianza

Messaggio da Franco953 »

L'8 novembre 2016 la morte del grande oncologo. Ecco la testimonianza della musicista Mohan Testi che si rivolse al medico nel 2006
Franco

LA TESTIMONIANZA DI MOHAN TESTI

E’ un’amicizia nata in un momento difficile della sua vita di donna, subito dopo la scoperta di avere un tumore, quella nata fra Mohan Testi, arpista di Perugia, e Umberto Veronesi, il grande oncologo scomparso nel 2016, che lei chiama affettuosamente "il professore". Malata e sottoposta alle prime cure, Mohan incontra il grande medico nel 2006. Gli si affida, si fa operare e comincia a vivere una seconda vita.

Che rapporto era il vostro?
"Mi hanno consigliato di incontrarlo quando ho scoperto di avere il tumore. Ma non sono stata una semplice paziente. Quando gli ho parlato e ho cominciato ad affidarmi a lui, è nato un rapporto fatto anche di stima e di affetto: un’amicizia con una grande persona"

Conoscerlo ha cambiato la sua vita?
"Totalmente. E in meglio perché è – non riesco nemmeno a dire era - una persona unica, aveva un fortissimo carisma, un’umanità che andava al di là di tutto. Ricordo questi occhi penetranti tipici delle persone speciali. Mi ricordo il nostro primo incontro in una Roma piena di sole, bellissima, e questa persona che mi ascoltava, parlandomi della mia situazione clinica. Io avevo già iniziato un percorso di cure a Perugia, città dove lui aveva studiato. Aveva molta stima dell’ospedale".

Però si operò allo Ieo di Milano.
"Sì, lo Ieo è stato un luogo dove ho trovato grandi persone, dai dottori agli infermieri, a chi faceva le pulizie, era tutto eccellente. I medici ovviamente lì sono all’avanguardia, e si vedeva l’impronta di Veronesi dappertutto".

In che senso?
"La persona era al centro di tutto. C’era la volontà di superare i problemi assieme, senza far sentire il paziente un numero. In questo, lui era un mago. Riusciva a concretizzare quello che credeva fosse giusto nella vita lavorativa. Quindi ho fatto l’operazione sentendomi bene, circondata dalla massima gentilezza, sentendomi spiegare quello che mi facevano. Mi sentivo una persona pensante. Lui era uno che si fermava a chiedere, era anche molto curioso"

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Che cosa le diceva?
"Mi parlava della sua scelta di fare l’oncologo, della volontà di sconfiggere il cancro, e aveva questa missione che si capiva anche dal modo di parlare. Mi diceva che quasi il 60 per cento delle possibilità di sconfiggere il cancro sta nella forza della volontà della persona. Lui credeva nella partecipazione del malato, nella consapevolezza dei problemi, senza la quale non si va da nessuna parte".

Era un dialogo solo medico o anche più filosofico?
"Parlavamo di tutto, anche di politica e delle diseguaglianze, di come va il mondo, di alimentazione. Io amo molto gli animali e parlare con lui mi ha portato a rinunciare del tutto di mangiare la carne. Un essere che soffre non fa bene alla salute".

Quindi da paziente, lei è diventata in quale modo un’amica?
"Beh sì, era una persona che partecipava molto anche a livello empatico, era interessato agli altri, alle loro vite. Era difficile tenerlo lontano dalla vita in generale, anche se lui era il professore e io la malata, non c’era modo di stare lontani".

Che cosa ricorda della sua degenza in ospedale?
"Non ci ero mai stata prima ma non fu uno choc. Sono stata quasi una settimana dentro a Ieo. Lui la mattina presto prendeva l’aereo per andare a Roma al Senato, ma prima faceva il giro dei pazienti e aveva una parola per tutti. Faceva i consulti con gli altri medici e con i pazienti, era molto attivo, aveva una mente pronta, anche se era sempre di corsa, costretto a fare due grandini alla volta per non arrivare tardi all’aereo".

Ha avuto paura?
"E’ ovvio, ma quando ho scoperto di avere il tumore mi sono guardata allo specchio e mi sono chiesta se volevo restare passiva o reagire. Ho scelto la seconda, ho fatto un concerto il giorno prima di operarmi. Poi ho affrontato con calma anche il post operatorio. Ho continuato a vivere, a suonare, a dipingere, a fare mostre, a interessarmi di politica. Ho continuato a coltivare le mie passioni. Ho avuto al fianco la mia famiglia, siamo tutti ottimisti di natura. E sono guarita, dopo 15 anni non prendo farmaci, ho una vita normale al 100 per cento: ho avuto fortuna. Ma se sono guarita è anche grazie a lui che non si fermava mai, come me. Era appassionato del proprio lavoro, adorava le persone".

Che cosa può dire a chi si ammala oggi?
"Di avere fiducia, voglia di reagire. Certo, ci vuole anche un po' di fortuna, come è capitato a me. Spero che in Italia rimanga una sanità pubblica che permetta a tutti di curarsi. Ma bisogna anche fare prevenzione, specialmente le donne, con stili di vita sani e con gli screening".

Le manca Veronesi?
"Non mi sembra vero che non ci sia più. Per fortuna ha lasciato persone che possono continuare la sua opera. Mi ha cambiato la vita, mi ha insegnato il modo di affrontarla, mi ha fatto crescere, ha cambiato il mio atteggiamento verso il lavoro, lo studio. Mi ha cambiato positivamente nel modo di vedere le cose, nel modo di raggiungerle. Aveva questo senso alto della giustizia, della libertà, un’umanità molto forte. Quando passavo a Milano andavo sempre a trovarlo in ufficio. Era un piacere vederlo e potergli parlare, ascoltare quel che faceva".

Quali erano le ultime cose di cui avete parlato?
"Parlava dei progressi della ricerca in campo medico, ma era molto anche concentrato sulla questione della pace nel mondo, della scienza applicata ai temi dell’ambiente, dell’inquinamento nei paesi poveri, della difficoltà di portare le cure avanzate nel terzo mondo. Credeva che attraverso la scienza si sarebbe potuto affrontare le più complesse crisi attuali"
“Non è tanto quello che facciamo, ma quanto amore mettiamo nel farlo. Non è tanto quello che diamo, ma quanto amore mettiamo nel dare.”
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