QUELLO CHE LASCIA IL CANCRO

In questa stanza è possibile dare parola a ciò che si vive come paziente, familiare, amico, condividendo la propria esperienza ed esprimendo le proprie emozioni in un clima di accoglienza, fiducia e rispetto.
france74
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Messaggio da france74 »

E' verissimo, chi ha conosciuto la sofferenza riesce ad apprezzare la vita e si rende conto che ogni giorno che viviamo è un dono enorme.

Concordo anche con Erika quando dice che a volte si lascia investire dalla malinconia. E' giusto che sia così, come si può rimuovere dai propri pensieri qualcuno che si è amato tanto? E' normale perdersi nei ricordi di quello che siamo stati insieme alla persona che abbiamo perso (un compagno ma anche un genitore..) dei momenti passati insieme che ora sembrano così lontani, quasi appartenenti ad un'altra dimensione.

Francesca
Erika76
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Messaggio da Erika76 »

Vero France, sai io mi pongo degli obiettivi, cosa che non ho mai fatto prima, dato che sono sempre stata tendenzialmente anarchica e poco organizzata. Riesco a distinguere tra due tipi di dolori. Uno giusto e comprensibile, quello che mi spinge a ricordare quanto è successo il 10 luglio, a rivivere quegli ultimi momenti e quell'arrivederci a Dani. Uno dettato dal senso di colpa, che mi spinge, ogni volta che provo serenità a punirmi rientrando nel vortice della malinconia. Il mio obiettivo è quindi quello di tentare di eliminare il dolore deliberatamente inflitto per un senso di colpa che so non ha motivo di esistere, eppure c'è e mi spinge a isolarmi e a stare male, quando dietro l'angolo c'è la serenità. Ricordare è giusto, anzi sarebbe deleterio e del tutto inutile tentare di cancellare quei ricordi. Io stessa cerco di tenerli vivi in me perché anche Lollo possa ricordare il suo papà. Lollo non piange mai, nemmeno quando si fa male, cade o prova dolore. Era convinto che il papà avesse sofferto, ma che non avesse mai pianto. Ieri notte gli ho detto che anche il suo papà a volte piangeva e che non deve percepire nel pianto una forma di debolezza. Piangere è normale ed anche liberatorio e finalmente ha pianto anche lui. Sembra quasi che trattenesse le lacrime da mesi per non tradire alcuna debolezza. Questo tipo di dolore è giusto. Lollo ha solo 6 anni, ma è perfettamente consapevole di quello che suo padre ha passato perché lo vedeva star male, immobilizzato, incapace di prenderlo in braccio e giocare con lui. Lo vedeva camminare a stento e poi non camminare più. Ma non deve credere che piangere sia sbagliato, piangere significa esprimere il dolore per la perdita e in quel pianto e in quel dolore vive un ricordo che piano piano diventerà fonte di serenità per lui. Quando invece il dolore è frutto di un senso di colpa per quell'attimo di serenità che si sta vivendo allora è sbagliato ed è proprio questo tipo di dolore che sto tentando di eliminare.

rosapinanicolettaanna
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Messaggio da rosapinanicolettaanna »

X I FAMIGLIARI È DURO MA PRIMA O POI TORNERETE A VIVERE CERTO CON TANTI CAMBIAMENTI TANTO DOLORE X CHI A PERSO UN CARO,LA VITA CONTINUA COMUNQUE,MA X I MALATI CÈ REMISSIONE X ORA IL TUMORE È STATO FERMATO MA VIVERE CON QUESTA PAURA E CON DOLORI CHE SI PROVA FISICAMENTE E PSICOLOGICAMENTO È UN GROSSO PESO DA PORTARE È DURA MOLTO DURA SAPERE CHE PRIMA O POI UNA RECIDIVA MI PORTERA VIA,IO LOTTO DA UNA VITA MA PRIMA O POI TI TROVI DAVANTI UN ADVERSARIO CHE VINCA LUI...IO LO SO ME LO SENTO LA TRANQUILITA E I SOGNI O PENSIERI X IL FUTURO NON RIESCO AD AVERNE PERCHE SO CHE O POCO TEMPO IO O DECISO DI LIBERARE MIA FIGLIA E CERCARE DI RESISTERE FINCHE SARA MAGGIORENE NEL CASO VENGO A MANCARE MIO FIGLIO MAGGIORE CURERA LA SORELLA,PRIMA DI STARE MALE VOGLIO SALVARLA E PRENDERMI CURA DI LEI FINCHE AVRO FORZE LO FARO X LEI...IO SO DI AVERE ALTRI TUMORI X ORA BENIGNI MA SO CHE NON STO BENE QUINDI LOTTARE A VOLTE NON BASTA NE VOLERLO MA X MIA FIGLIA IO RESISTERO MA SENZA DI LEI STO UTILIZANDO LE MIE RISERVE,PERCIO SE ERIKA MI DAI IL NUMERO LA CONTATERO GRAZIE...FATTI CORAGGIO

rosapinanicolettaanna
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Messaggio da rosapinanicolettaanna »

LA LOTTA È INFINITA MA TI ACCRESCE MENTALMENTE E SPIRITUALMENTE ANCHE SE IO ANCHE PRIMA SENTIVO E DAVO AD OGNI PICCOLA COSA L'IMPORTANZA CHE MERITA O VISSUTA UNA VITA BRUTTA DA SEMPRE O IMPARATO AD GODERMI UN ALBA UN TRAMONTO TANTE PICCOLE OPERE D'ARTE CHE LA MADRE NATURA CI A DONATO,ORA È AMPLIFICATO NEL BENE E ANCHE NEL MALE PERCHE SI SENTE TUTTO AMPLIFICATO MA IO LO APPREZZO MI FA SENTIRE VIVA...GODERMI UN CIELO COSTELATO DI MULTITUDINE DI ASTRI LUMINOSISSIMI M'INFIAMA IL CUORE E MI RISCALDA L'ANIMA,LA SPIRITUALITA L'AMMIRAZIONE X TANTA BELLEZZA...IN OGNUNO DI NOI CE FORZA E AMORE X LA VITA E QUANTO DI BELLO CI PUO DONARE A ME A DONATO 2FIGLI STUPENDI PIU DI QUESTO NON O MAI STATA FELICE APARTE X LORO E CON LORO O DONATO AD OGNUNO DI LORO META DEL MIO CUORE ...ora vi auguro una dolce notte un abbraccio x voi amici miei...

rosapinanicolettaanna
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Messaggio da rosapinanicolettaanna »

CARA ERIKA CIO CHE SENTI NON È COLPA È SEMPLICEMENTE CHE TI CHIEDE PERCHE È TOCCATO A LUI MANCARE È NON SAI SPIEGARTELO ,MA PASSERA COL TEMPO,PERCHE NON SIAMO NOI A DECIDERE CHI SE NE VA E CHI RESTA,UNA PARTE DI TE È ANDATA CON LUI MA È L'AMORE CHE PROVAVI E PROVI CHE TI FAI FARE QUESTI PENSIERI PERCHÈ LUI O ME PERCHÉ NON È TOCCATO A ME!QUANDO SI AMA TANTO E SI É MOLTO LEGATI VENGONO STI PENSIERI ORA CONCENTRATI SU LOLLO E SAPERE QUANTO 6 IMPORTANTE E NECESSARIA X LUI VEDRAI COL TEMPO TI ADEGUERAI NON SO SE SARAI FELICE IO PENSO DI SI ONORARE DANY TI FA ONORE INFATTI DEVI RICORDARE E VIVERE CON LORO...LUI RESTERA SEMPRE VIVO IN VOI...É DURO LO SO MA ANDRA MEGLIO FIDATI UN ABBRACCIO

Milena66
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Iscritto il: mer 29 gen 2014, 20:49

Re: QUELLO CHE LASCIA IL CANCRO

Messaggio da Milena66 »

Cosa mi manca? Mi manca di parlare e di essere ascoltata, ricevendo sempre dei buoni e saggi consigli. Quanto parlavo con mia mamma e quante cose le raccontavo!
Dopo ogni lunga ed accesa chiacchierata mi sentivo rigenerata, pronta per affrontare ogni nuova scalata. Da quando mia mamma non c’è più, io mi sono accorta di non parlare più, ma soltanto di chiacchierare a livello molto superficiale con le persone.
Con mio marito parlo, ma mi sembra che ogni mio sfogo venga interpretato come un desiderio di lamentarmi e soprattutto le soluzioni che mi vengono prospettate, quando parlo di un qualche problema che mi preoccupa, mi appaiono ridicole e riduttive. Ad esempio, dopo che ieri sera gli ho spiegato che a me piace essere autonoma e non dipendere da altri e che questo fatto che sua zia (sorella di sua madre) sia sempre troppo disponibile come se si sentisse in obbligo per sopperire alla mancata collaborazione da parte di mia suocera, che sarebbe la nonna dei miei figli, lui mi ha risposto che la zia è fatta così e che ha sempre fatto così. Lei ha sempre fatto così con tutti e ha sempre colmato le assenze di sua madre.
Mi sono ritrovata intrappolata in una situazione inamovibile dove l’unica via di uscita sarebbe scappare di casa, lasciandomi tutto alle spalle.
Tutto mi pesa ora…..anche i figli mi sembrano un peso. E questo non è giusto.
Ieri mi hanno vista piangere e mi hanno abbracciata e baciata con amore. Io dovrei essere la loro colonna portante ed invece sono io che chiedo aiuto a loro, paradossalmente.
Tutti sono pronti a dare consigli, a far notare che ho un bruttissimo carattere e che non avrei motivo di lamentarmi. E riflettendoci bene, è esattamente così.
E allora cosa mi manca? Perché non sono mai felice? Se ci penso però, io forse non sono mai stata felice.
Questo è il mio carattere: lamentoso, indolente, malinconico e tendente alla depressione ed ancora non ho imparato a conviverci.
Erroneamente, con l’innocenza di una bambina, ho creduto di trovare una nuova madre in mia suocera, ma mi sono resa conto che lei non sa essere madre neanche dei propri figli. Ho sperato e riposto aspettative laddove proprio non c’è sostanza e non c’è capacità di manifestare amore. Forse l’amore c’è, ma è intrappolato in una gabbia di rigore morale che dovrebbe essere di buon esempio per l’umanità. Come se per il solo fatto di essere moralmente ineccepibile e virtuosa rendesse beneficio all’umanità con l’esempio.
Ma quando rientro dal lavoro, stanca morta, alle h18,30 e devo contemporaneamente cucinare per tutta la famiglia, pensare a cosa preparare per pranzo il giorno dopo e scongelare magari la carne e stirare, preparare i bambini e via discorrendo, a me del rigore morale e dell’esempio non me ne importa nulla. Avrei bisogno di una cena pronta, sarebbe molto utile. Ma io sono materiale e sembra che non comprenda il dolore degli altri.

Avrei voluto ereditare due cose da mia madre: il carattere e le gambe.
Ed invece ho il pessimo carattere di mio padre, per il quale ogni cosa è un ostacolo insormontabile, ma ahimè unito alla sensibilità di mia madre.
Le gambe sono un orrore. Identiche a mio padre: due scheletri senza polpaccio, prive di muscoli. Le cosce e il sedere invece sono come quelle di mia madre e la conseguenza è che sembro uno struzzo. Ma ormai non mi interessa più il mio aspetto fisico.
Io non ero adatta a vivere. Dovevo non nascere, forse.
Non so affrontarla la vita o meglio l’affronto ma soffro tremendamente per ogni cosa, terrorizzata ormai da anni dal fatto che il bastardo cancro possa tornare a chiedere ospitalità nel corpo di qualcuno della mia famiglia.

Mia madre invece era solare e prima della malattia era una donna di ferro, sempre pronta a divertirsi, a chiacchierare, a lavorare sodo e a dare tanto a tutti senza pretendere niente in cambio. Il suo sorriso e la sua voglia di vivere erano contagiosi. Credo dipenda da questo suo carattere se è riuscita a sopravvivere 6 anni dalla diagnosi di cancro ovarico.
Un qualsiasi altro essere umano sarebbe morto prima, non riuscendo a resistere a tutte le angherie subite, al dolore dell’abbandono da parte degli amici e dei parenti, alle umiliazioni di essere costretta in un corpo, una volta rigoglioso e forte, ridotto ad uno scheletro ricoperto di carta velina. Le mani doloranti, i piedi intorpiditi, le gambe tornite e scattanti abituate ai tacchi ai quali mia mamma non rinunciava mai, ridursi in due paletti incastonati in scarpe di stoffa per non sentire il dolore dei postumi delle cure.
La radioterapia per cercare di cessare quelle perdite vaginali rossastre intrise di sangue e di siero proveniente dal tumore che orami aveva attaccato ogni organo addominale…..e poi la pancia che diventa un pallone perché il tumore ha ormai ostacolato il transito intestinale e un intervento miracoloso nel cuore della notte che le regala una deviazione intestinale permanente, anche se mia mamma spera che non sarà per sempre…..
Mia mamma si riprende anche da questo intervento ed impara a gestire quel corpo estraneo, a pulirlo e ad applicarci quel maledetto sacchetto di plastica. Non si arrende e da brava sarta cuce un sacchettino di stoffa per coprire quella plastica marrone e rendere quel corpo estraneo più gradevole alla sua stessa vista.
Trova la forza e il coraggio di abbellire il suo addome martoriato con un vestitino per il sacchetto che contiene le feci.
Ma il corpo non controlla più le funzioni e quando meno te lo aspetti quel sacchetto si riempie di escrementi e il corpo produce suoni che non riesci a controllare e ad evitare.
Quando anche lo svuotamento corporale non riusciva ad innescarsi più neanche con la deviazione, delle operatrici sanitarie venivano a casa e con un lavaggio e tanti tubi aspiravano le feci a mia madre che seduta su quel panchetto in bagno si umiliava fino a vergognarsi di essere viva.

Ma nonostante tutto arriviamo al 6° Natale anche se mia mamma è sempre più provata. Io trascorro il pranzo con i miei genitori e poi, su insistenza di mia madre, raggiungo mio marito insieme alla sua meravigliosa e sana famiglia. Si ride, si gioca a tombola e non si tiene in considerazione il mio dolore….Mia madre sa di essere vicina alla morte e mi dice: “vai e cerca di stare bene, quella diventerà la tua famiglia”
Recito la mia parte. Sono lì, sono moglie di mio marito ed i miei problemi appaiono lontani, sono rimasti a casa dei miei genitori ove mia mamma resta sola, ricamando qualcosa e cercando di essere operosa per quel che il cancro le consente di fare.
Tutta quella gioia, falsa o vera che fosse, mi disturba, apre voragini dentro di me e non riesco a sentirmi a mio agio né li né altrove.
Una domenica pomeriggio sono in campagna con mio marito e altri amici, fra i quali mia cognata e la sua famiglia. Mia madre mi telefona dicendomi che ha troppo dolore alla pancia e che sarebbe andata al Pronto Soccorso. Io scappo e mio marito non comprende che ho bisogno di lui. Mi dice che sono la solita esagerata, la solita impaziente.
Prendo la macchina di mio marito e corro al Pronto Soccorso ove trascorro tutto il pomeriggio e parte della sera.
Mio marito rientra a casa tardi, dopo cena inoltrata.
Era un caldo torrido, quell’ospedale del centro storico con quei bei giardini e le vecchie mura evoca sensazioni di morte ed è pervaso dall’odore di malattia ed anestetici.
Io sono lì, sola come sempre. Mio padre è andato a fare una passeggiata in centro, a comprarsi dei sandali.
Io sola ero lì. La sorella di mia madre era al mare con suo marito e non torno’ certamente a casa per stare vicina alla sorella. Sia mai!
Perché sprecare un giorno di mare se la propria sorella sta male a causa di un cancro che la sta aggredendo in maniera sempre più feroce?
Si sa l’estate è la stagione del buon umore e dell’abbronzatura ed aggravarsi nel mese di Luglio è veramente sconveniente.

Dotata geneticamente di un pessimo carattere, sono morta giorno dopo giorno insieme a mia madre e al cancro.
Ho fatto pulizia di affetti e mi sono ritrovata sola, sola con un marito che non aveva dimostrato di essere troppo all’altezza delle situazioni, ma quello avevo e con quello dovevo fare i conti. Mia madre mi ha consegnata a lui. E’ morta contenta sapendo di non avermi lasciata sola.
Volevo un figlio, volevo qualcosa di mio che si protraesse oltre la mia vita e ho sfidato la natura, la mala sorte e i segnali premonitori.
Ho avuto due figli, meravigliosi che sono la mia vita, ma quando passo da quell’ospedale che ha tante volte ospitato la mia mamma io non penso che lì sono nati i miei figli, ma penso a quanta sofferenza ha passato mia madre lì. Non posso e non riesco a dimenticare.

Io sono morta con mia madre e la persona nuova che è nata insieme ai miei figli è una donna vecchia, stanca, provata dalla vita e dalla malattia che non riesce ancora a credere che la vita possa anche offrire alternative al cancro. La famiglia di mio marito e mio marito stesso non hanno certamente dimostrato di saper capire.
Ma chi non conosce il cancro, non può capire.
Quel dolore vissuto 24 ore al giorno per 365 giorni per 6 anni non riesce a lasciare il posto ad una serenità che potrei vivere.
Non è bastata la maternità, non sono bastati 8 anni a farmi dimenticare e forse non basterà la vita intera.
Comincio a pensare che non riuscirò mai a riconciliarmi completamente con il passato, con la vita e con gli affetti.
E per quanto abbia sviluppato un senso profondo nel capire il vero dolore, ho altresì maturato un’intolleranza fisica verso i problemi inesistenti.
Sono presuntuosa, sì, perché credo di conoscere il vero dolore, credo di essere depositaria della verità solo perché ho conosciuto da vicino il cancro.
Ma di dolore è pieno il mondo e non esiste solo il cancro. E quello, mio malgrado lo accetto, e se posso, cerco di offrire una carezza, ma i problemi ridicoli di chi –come mia suocera- ad esempio dice di non avere la forza di uscire di casa perché è depressa e che non viene mai neanche a vedere i nipoti a 100m da casa e poi fissa le vacanze al mare e va dal parrucchiere, quelli sì che mi irritano oltre misura. Per me questo è uno schiaffo verso il dolore ed una profonda mancanza di rispetto verso il genere umano.

Vorrei soltanto che qualcuno mi abbracciasse e mi facesse sentire l’amore che prova per me e mi sussurrasse in maniera decisa: “andrà tutto bene, Vania”.
Non mi basta il ricordo delle ultime parole di mia madre che con un filo di voce rispondeva alla mia tragicomica domanda: “mamma come farò quando non ci sarai più?”.
E lei: “io ci sarò sempre. Tu guarda in alto io veglierò su di te. Fammi pure delle domande, la risposta la conosci”.

Certe volte, come oggi, anche il ricordo di mia madre sana appare sfumato e mi domando se lei sia mai veramente esistita e se sia mai stata sana.

Ed io? Sono mai veramente esistita?
Erika76
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Re: QUELLO CHE LASCIA IL CANCRO

Messaggio da Erika76 »

Il fatto che tu qui ti ponga delle domande, il fatto che tu qui ti lanci in una feroce auto-critica verso te stessa, il fatto che tu qui chieda un abbraccio e supporto sono la prova stessa che tu esisti, vivi e soffri. Esisti da quando tua madre ti ha messa al mondo, ma ti rifiuti di vedere in altri quello che vedi in te. Gli altri hanno mille motivazioni e giustificazioni, rigore morale, depressione, ma tu a te che giustificazioni dai? Nessuna. Tu senti il desiderio di auto-distruggerti solo perché non credi di meritare una vita diversa da quella che hai. Forse non sei mai stata felice, questo sì. Hai creduto di esserlo come lo credono molto di noi a 20 o a 30 anni. Poi è arrivato il cancro e hai capito di non aver mai capito. Ma questo non ti rende peggiore o diversa dalla maggior parte di noi. Anch'io ho sempre creduto, come te, di avere la risposta a tutte le domande, la soluzione a tutti i problemi. Poi il cancro e la lotta quotidiana mi hanno portato a rivedere tutto di me, dalla A alla Z, senza alcuna eccezione. Significa che prima ero stupida? No. Prima era prima, le priorità era altre, le forme di realizzazione personale erano altre. Il dopo è il frutto di quello che è successo. Tuo marito non ti capisce, ma forse perché non gli hai mai detto a chiare lettere cosa senti, come ti senti e cosa pensi della tua vita e di lui. Tua madre era una donna forte, aveva fatto persino un abito per la stomia. Io quelle scene le ricordo. Ho visto quello che hai visto tu. Anche i tubi e l'irrigazione... ho visto tutto e so cosa provi. Ma inizia con un piccolo passo: PERDONA TE STESSA. Perdonati per non essere onnipotente, perdonati per il sacrosanto desiderio e diritto di cedere allo stress e alla fatica, perdonati perché desideri ancora, sogni ancora. Inizia a perdonarti per non essere l'emblema della perfezione che tutti in te vorrebbero vedere. Parli delle tue gambe, ma parli d'altro. Non sono le gambe il problema. Perdonati per non essere una fotocopia di tua madre. Inizia da qui.
linetta
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Re: QUELLO CHE LASCIA IL CANCRO

Messaggio da linetta »

Erika , condivido in pieno ciò che scrivi a Vania.. Si, amica cara, sii indulgente con te stessa, sei umana anche tu.. La tua bellezza e' questa: sei fragile e forte al tempo stesso.. Perdona te stessa, Erika ha ragione.. Tutti noi abbiamo dovuto farlo, credo, dopo che il cancro era passato nelle nostre stanze, svuotandole e costringendoci a guardare quello che siamo.. Esseri umani..niente di più, ma è' tantissimo..
Io ti abbraccio, Vania, non ti dico che passerà ma che, invece, tutto questo dolore ha anche il senso di induriti a volerti un po' più di bene..
Ciao cara amica..grazie per aver condiviso una parte molto intima della bella persona che sei.
Linetta
Erika76
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Re: QUELLO CHE LASCIA IL CANCRO

Messaggio da Erika76 »

Vero dolcissima Linetta. Tutto questo dolore ha un senso fintanto che lo usiamo in modo costruttivo e non per auto-distruggerci come forse hanno fatto o ancora fanno alcuni di noi. Io stessa mi trovo davanti a una scelta, che magari non conta nulla, ma per me ha un senso. Il 10 luglio 2014 dovrò scegliere se passare la serata sola a farmi ancora male o se passarla con la mia nuova famiglia a dare un senso costruttivo al dolore che ancora alberga in me. Vista dall'esterno può sembrare una scelta ovvia. In fin dei conti, che differenza c'è tra il 10 luglio, il 10 giugno o il 10 maggio? Sono solo date, date in cui però il dolore si rafforza nutrendosi proprio della convinzione che in una data si racchiuda tutto e invece non è così. Il 10 luglio 2014 non si chiuderà un ciclo perché ho iniziato a vivere molto prima e continuerò a soffrire molto dopo. Quindi che farò? Ci penso da giorni e forse la risposta mi arriverà da sola, quando mi alzerò la mattina del 10 luglio e forse saprò cosa fare. Linetta e Vania, sapete meglio di altre che qui mi sono sempre esposta senza difficoltà. Ho un figlio che adora il mio angelo e quindi credo che auto-flagellarsi oltre a danneggiare noi, possa ferire chi amiamo di più. Escludere chi amiamo per fare nostra una sofferenza che sentiamo di doverci infliggerci per i sensi di colpa o per un senso dl dovere ferisce quelle stesse persone che tentano di aiutarci, supportarci con le poche armi che hanno a disposizione, armi che però sono infarcite di amore.
Milena66
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Re: QUELLO CHE LASCIA IL CANCRO

Messaggio da Milena66 »

Erika, Linetta grazie. Grazie delle vostre parole che nutrono come un balsamo lenitivo il mio disperato bisogno di amore.
 


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