Tumore dell'ovaio: nuove speranze dai Parp-inibitori

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Franco953
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Tumore dell'ovaio: nuove speranze dai Parp-inibitori

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Riporto di seguito l'articolo pubblicato sul sito della Fondazione Veronesi, in quanto ritengo possa essere interessante

Franco


Tumore dell'ovaio: nuove speranze dai Parp-inibitori
L’olaparib, un nuovo farmaco, ha aumentato di molto la sopravvivenza libera da malattia dopo la chemioterapia. Appartiene alla classe dei Parp-inibitori
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Gli oncologi lo ripetono da tempo: i Parp-inibitori potrebbero segnare la svolta, nella terapia medica di molti tumori. Tra questi c’è il tumore dell'ovaio, il più aggressivo tra quelli che possono colpire l’apparato genitale femminile.

QUANDO ALTRI FARMACI NON FUNZIONANO PIÙ
Già impiegati da circa un anno, ma vincolati all’esito di nuove sperimentazioni, i Parp-inibitori sono farmaci che si candidano a diventare un punto fermo per le oltre seicento donne italiane che ogni anno sviluppano un tumore dell’ovaio a causa di una mutazione dei geni Brca 1 e 2, con successive recidive. Queste pazienti, in molti casi, dopo essersi sottoposte a un doppio ciclo di chemioterapia, sviluppano una resistenza ai farmaci che ha finora rappresentato il principale ostacolo sulla via della guarigione.

FINO A 19 MESI SENZA RECIDIVE
La notizia di un passo avanti importante giunge da una ricerca pubblicata sulla rivista The Lancet Oncology, che di fatto vale come una conferma per l’Agenzia Europea del Farmaco, a cui hanno partecipato anche due italiani: Sandro Pignata (direttore della struttura complessa di oncologia medica uro-ginecologica dell'Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli) e Nicoletta Colombo (a capo del dipartimento di ginecologia oncologica all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano). Lo studio riporta le conclusioni della terza fase di sperimentazione clinica di un nuovo farmaco, l’olaparib, appartenente alla classe dei parp-inibitori. Lo studio ha comparato l’effetto del farmaco rispetto a un placebo su un gruppo di donne in cui la malattia aveva già recidivato, che presentavano mutazioni di uno o entrambi i geni Brca e che avevano concluso da almeno sei mesi un trattamento chemioterapico a base di platino. Il parp-inibitore in questione, assunto in due compresse per due volte al giorno, ha fatto segnare una notevole differenza in termini di sopravvivenza libera da malattia. Le pazienti che hanno assunto il farmaco hanno in media vissuto senza malattia per diciannove mesi, rispetto ai cinque registrati nelle donne inserite nel gruppo di controllo. Anche nel tempo il farmaco ha dimostrato significativi benefici rispetto al placebo. Anche dopo cinque anni una percentuale importante di pazienti (15 per cento) è rimasta in remissione. «Un risultato finora mai ottenuto, che segna una svolta per le pazienti», afferma Pignata.

COME FUNZIONANO I PARP-INIBITORI
Assieme agli antiangiogenici, i Parp-inibitori (l’acronimo deriva da poli-ADP ribosio polimerasi) rappresentano l’altra categoria di farmaci che in futuro potrebbe acquisire lo stesso rilievo della chemioterapia finora il cardine del trattamento del carcinoma ovarico, dopo la chirurgia. La loro azione consiste nell’annullamento dei meccanismi di riparazione del Dna nelle cellule neoplastiche dell’ovaio, con la conseguente morte delle cellule malate. Ecco spiegata la particolare efficacia nei casi in cui la malattia risulta provocata da una mutazione di uno o entrambi i geni Brca, pari al venti per cento delle nuove diagnosi. E dal momento che queste alterazioni del Dna non sono presenti nelle cellule sane, la loro azione nei tumori epiteliali dell’ovaio è molto più selettiva rispetto a quella dei chemioterapici. Nello studio sono stati rilevati effetti collaterali del farmaco: anemia, neutropenia, astenia, dolore addominale e ostruzione intestinale. Condizioni che, trattandosi di una terapia di mantenimento di lunga durata, possono risultare anche fastidiose per le pazienti. «Ma si tratta comunque di conseguenze più tollerabili rispetto a quelle indotte dalla chemioterapia», prosegue lo specialista.

LE DOMANDE SENZA RISPOSTA
Come scrivono Michael Bookman e Henry Kitchener in un commento pubblicato a corredo della ricerca, «ci sono dei punti da chiarire in merito al profilo dei pazienti candidabili al trattamento». Dal momento che nello studio sono state arruolate soltanto donne con una mutazione a carico dei geni Brca, con alle spalle già due trattamenti chemioterapici, resta da capire se l’utilizzo dei Parp-inibitori possa avvenire in tutti i casi di tumore dell’ovaio (sono attesi per il 2018 i risultati di una ricerca condotta con un altro Parp-inibitore: il neratinib), da solo e in prima linea (al posto della chemioterapia). Per il momento, chiosa Pignata, «emerge ancora più forte l’esigenza di effettuare il test per la ricerca delle mutazioni di Brca in tutte le pazienti con carcinoma ovarico. Un passo del genere è utile a capire non soltanto chi potrebbe beneficiare del trattamento con olaparib, ma anche per studiare le famiglie nelle quali queste mutazioni sono trasmesse ereditariamente. In questo modo è possibile riconoscere precocemente le donne a rischio di sviluppare carcinomi ovarici e della mammella».

PROSPETTIVE ANCHE PER IL TUMORE AL SENO METASTATICO?
Lo stesso farmaco è in realtà considerato interessante anche nella gestione delle recidive del tumore al seno metastatico. I dati, presentati in occasione dell’ultimo congresso della Società Americana di Oncologia Clinica, «dimostra il vantaggio di olaparib come trattamento orale in alternativa alla chemioterapia, nel ritardare la progressione del carcinoma mammario con mutazione Brca - sostiene Pier Franco Conte, direttore della divisione di oncologia medica 2 all’Istituto Oncologico Veneto di Padova e membro del comitato scientifico della Fondazione Umberto Veronesi -. Stiamo parlando di un gruppo di pazienti con poche alternative terapeutiche a disposizione». Le pazienti arruolate nel trial presentavano un carcinoma mammario positivo alla mutazione Brca 1 o 2, negativo ai recettori per gli estrogeni e stavano ricevendo il trattamento con il Parp-inibitore come prima, seconda o terza linea di terapia per la malattia metastatica. Prima di essere arruolate nello studio, le pazienti erano state preventivamente trattate con un'antraciclina (se non controindicata) e un taxano, mentre le pazienti positive ai recettori ormonali erano state sottoposte ad almeno una terapia endocrina.

Articolo redatto da:
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).
“Non è tanto quello che facciamo, ma quanto amore mettiamo nel farlo. Non è tanto quello che diamo, ma quanto amore mettiamo nel dare.”
 


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