Inviato: gio 31 gen 2013, 21:08
Prima che succedesse a me di ritrovarmi dall'altra parte della barricata, non avevo mai fatto abbastanza caso a quale fosse la mia reazione di fronte ad una persona ammalata. E sinceramente penso di non aver avuto nemmeno molte occasioni di ritrovarmi di fronte alla malattia - fino ad un paio di anni fa, ovvio. Ricordo che una volta feci visita ad un malato terminale (tumore al polmone) e ricordo che ne provai molta pena. Una cosa pensai di sicuro: "Non avrei mai voluto ritrovarmi in quello stato". Stesso pensiero che venne a farmi visita quando, per la prima volta al reparto di senologia del Policlinico Gemelli, vidi un altro malato/un'altra malata terminale (purtroppo non riuscii a capire se si trattava di un uomo o di una donna, tanto la malattia aveva trasfigurato quella creatura).
Questa era la mia reazione di fronte alla malattia, prima che mi ammalassi io stessa: pena e pietà per chi mi stava di fronte e paura, tremenda paura, di potermi ritrovare nelle sue stesse condizioni.
Adesso che ho compiuto il balzo e sono passata dall'altra parte, mi sono resa conto che subìre la pena e la pietà di chi viene a sapere della mia situazione, è quanto di più doloroso e fastidioso un malato debba sopportare. Gli sguardi di pietà, anche se comprensibili, le parole di pena... No, non fanno affatto bene. Ci fanno sentire ancor più ammalati. Danno forma e materia ad una cosa cui non vorremmo dare alcuna concretezza. Regalano un soffio di vita ad un mostro che vorremmo sedato e silente.
Io mi ritengo fortunata perché sono state davvero pochissime le persone che hanno avuto un atteggiamento del genere nei miei confronti. E queste pochissime persone non sono state affatto condannate da me, anzi. Capisco che agli occhi di un adulto sorga spontaneo provare un moto di pietà per una ragazza giovane, che sopporta le pene dell'inferno e chissà se mai avrà occasione di proseguire a lungo e bene la sua vita.
Mi ritengo fortunata anche perché, in percentuale, è stato maggiore il numero di persone che hanno mostrato la loro ammirazione nei miei confronti. Tante, tantissime volte mi sono sentita chiedere: "Ma come fai? Dove trovi la forza?". E io a rispondere: "Spero non conoscerete mai la risposta, perché solo chi passa attraverso queste cose sa bene dove si trova la forza e come si fa". Chi non arriva a conoscere dove si trova la forza e come si fa a superare tutto questo, semplicemente non ci è riuscito, e ha mollato la presa. Gesto che io non condanno assolutamente, anzi. Oggi comprendo e rispetto la scelta di chi non se la sente di combattere, e guai chi osa condannare e giudicare! Io per prima stavo mollando la presa. Se mi sono salvata è stato un caso oppure non era ancora la mia ora, decidete voi in base al vostro credo o alle vostre convizioni.
http://lamiavitadopote.blogspot.it
Questa era la mia reazione di fronte alla malattia, prima che mi ammalassi io stessa: pena e pietà per chi mi stava di fronte e paura, tremenda paura, di potermi ritrovare nelle sue stesse condizioni.
Adesso che ho compiuto il balzo e sono passata dall'altra parte, mi sono resa conto che subìre la pena e la pietà di chi viene a sapere della mia situazione, è quanto di più doloroso e fastidioso un malato debba sopportare. Gli sguardi di pietà, anche se comprensibili, le parole di pena... No, non fanno affatto bene. Ci fanno sentire ancor più ammalati. Danno forma e materia ad una cosa cui non vorremmo dare alcuna concretezza. Regalano un soffio di vita ad un mostro che vorremmo sedato e silente.
Io mi ritengo fortunata perché sono state davvero pochissime le persone che hanno avuto un atteggiamento del genere nei miei confronti. E queste pochissime persone non sono state affatto condannate da me, anzi. Capisco che agli occhi di un adulto sorga spontaneo provare un moto di pietà per una ragazza giovane, che sopporta le pene dell'inferno e chissà se mai avrà occasione di proseguire a lungo e bene la sua vita.
Mi ritengo fortunata anche perché, in percentuale, è stato maggiore il numero di persone che hanno mostrato la loro ammirazione nei miei confronti. Tante, tantissime volte mi sono sentita chiedere: "Ma come fai? Dove trovi la forza?". E io a rispondere: "Spero non conoscerete mai la risposta, perché solo chi passa attraverso queste cose sa bene dove si trova la forza e come si fa". Chi non arriva a conoscere dove si trova la forza e come si fa a superare tutto questo, semplicemente non ci è riuscito, e ha mollato la presa. Gesto che io non condanno assolutamente, anzi. Oggi comprendo e rispetto la scelta di chi non se la sente di combattere, e guai chi osa condannare e giudicare! Io per prima stavo mollando la presa. Se mi sono salvata è stato un caso oppure non era ancora la mia ora, decidete voi in base al vostro credo o alle vostre convizioni.
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