Microcitoma polmonare. Cosa riserva il futuro
Inviato: sab 12 set 2015, 17:23
Buongiorno a tutti,
mi sono appena iscritta perché nell'ultimo periodo ho passato più tempo su questo forum che fuori.
Ad una persona a me veramente tanto cara è stato diagnosticato un carcinoma polmonare a piccole cellule. La neoplasia primitiva è grande come un limone, poi ce ne sono altre quattro un po' più piccole e una metastasi di due centimetri nel cervello. La malattia è estesa al quarto stadio, non operabile. Si tratta di una donna di 53 anni, sana e forte, grande lavoratrice e ahimè, grande fumatrice. Tutto è stato scoperto in seguito ad una crisi epilettica dovuta alla metastasi cerebrale. Dopo un lungo iter di accertamenti che tutti qui conoscono bene, sono state fatte diagnosi e prognosi. Mi sono stupita di come i medici dell'ospedale in cui è in cura non abbiano menzionato le aspettative di vita finché, dopo più di un mese dalla conoscenza della malattia e successivamente alla presa di coscienza della gravità della situazione, suo marito si è fatto coraggio e ha posto domande ben precise. Ci hanno detto che ogni caso è unico, ma le statistiche parlano chiaro: attualmente la sopravvivenza a 5 anni è di meno dell’1-2% per i pazienti con malattia estesa e l'aspettativa di vita media va dai 6 ai 18 mesi dal termine del trattamento chemioterapico.
In questo caso la tristezza che ti invade il cuore è infinita. Questi numeri ti spezzano le gambe. Vorresti rannicchiarti e non pensare a niente. Noi abbiamo preferito non esporle pienamente la gravità della sua malattia, tanto meno le statistiche in merito, anche perché lei non lo ha chiesto e conosciamo bene il suo carattere, però tutti i giorni mi domando se sia giusto o meno non informarla pienamente dei fatti; io, ad esempio, vorrei saperlo, ma andrei a leggermi il referto e mi informerei personalmente, lei non lo ha fatto, si fida di noi.
Non parlo del malato, perché anche se cerco di immedesimarmi, non credo che si possa comprendere a pieno quello che è lo stato d'animo di queste persone, anche perché varia a seconda del carattere di ciascuno. Ma posso affermare che noi familiari, che ci avviciniamo per la prima volta al male, ci troviamo in un mondo nuovo, un Inferno in Terra lo definirei, fatto di terminologie mediche nuove, di ospedali, di domande e sofferenze lette negli occhi delle persone malate, di ansie, di paure e tantissime incognite. Io personalmente, oltre al dolore, sono dominata dal senso di impotenza e la sera quando vado a letto mi interrogo, chiedendomi se per le ventiquattro ore appena trascorse ho fatto abbastanza. Ho paura di perdere la persona a cui voglio bene, di vederla soffrire soprattutto. Non so cosa ci aspetterà.
L'ansia che in un primo momento ha prevalso in me, è stata tutta incentrata nella ricerca di informazioni, per comprendere di cosa stessi parlando per poi trovare la cura migliore. Sono andata allo IEO di Milano, ho richiesto consulti privati, ma alla fine tutti i medici dicono che per questo genere di malattia la terapia è standardizzata da ormai vent'anni, non ci sono cure sperimentali, né alternative terapeutiche. Da così tanto tempo la gente muore nella sofferenza totale e non siamo neanche in grado di investire in ricerca. Il mio senso di impotenza è grande, non posso fare niente se non aspettare. Aspettare cosa poi? L'esito della TC per vedere progressi o regressi e poi? Sì, lo so, posso sperare che rientri in quel 1-2% e starle vicina con tutto il mio cuore, posso cercare di farle vivere dei giorni sereni e godere a pieno di quello che rimane. Questo è il mio scopo ogni giorno che mi alzo dal letto, la speranza è forte, non mi abbandona, ma razionalmente non posso accettare questa condizione. Possibile che non ci sia davvero altro da fare?
Comunque a parte l'amarezza dovuta soprattutto alla rabbia che si ha dentro quando si affrontano questi grandi drammi, il sentimento che prevale in noi è la voglia di lottare, il bene e l'esigenza di starle il più vicini possibile. Quello che spesso mi getta in uno stato di inconsapevolezza è il fatto che lei è perfettamente in forma, anzi, avendo smesso di fumare dopo tanti anni la sua voce è limpidissima come non l'avevo mai sentita, la sua pelle è fresca e a parte qualche effetto collaterale della chemioterapia non accusa problemi. Pensare alla scomparsa di una persona esteriormente sana (l'unico segno della malattia è dato dalla caduta dei capelli) è impossibile.
Le hanno prescritto sei cicli di chemioterapia con cisplatino ed etoposide, ne ha terminati tre, aspettiamo la fine del mese per la TC di verifica. Inoltre ha eseguito dieci cicli di radioterapia panencefalica per la metastasi cerebrale.
Mi sono dilungata, ho perso il filo del discorso e non ho ancora esposto il motivo del mio post. Vi scrivo per chiedere a chi ha già vissuto questa situazione, cosa riserva il futuro dal punto di vista pratico. So che il primo step è attendere il risultato della TC di controllo, ma supponiamo che ci desse buone speranze, so che una volta terminati i sei cicli di chemioterapia, sempre che il suo fisico li tolleri e sopporti bene, inizia il periodo cosiddetto "follow-up", in cui si eseguono controlli programmati e si attende, purtroppo la ricomparsa del tumore. Ma in questo lasso di tempo il malato come sta? Di cosa ha bisogno? Può condurre una vita normale? Esiste qualche caso di cronicizzazione della malattia? Ho letto tanto dal punto di vista scientifico e medico, ma non sono riuscita a trovare esperienze dirette di chi ha già combattuto con questo specifico male. Non riesco a rassegnarmi all'idea di una scadenza così breve. Possibile che non ci siano alternative terapeutiche? Qualcuno ha sentito parlare della fitoterapia della Dott.ssa ....... a Francoforte? Se qualcuno può dirmi qualcosa gliene sarei profondamente grata. Grazie a tutti e vi auguro di avere tanta forza e speranza.
mi sono appena iscritta perché nell'ultimo periodo ho passato più tempo su questo forum che fuori.
Ad una persona a me veramente tanto cara è stato diagnosticato un carcinoma polmonare a piccole cellule. La neoplasia primitiva è grande come un limone, poi ce ne sono altre quattro un po' più piccole e una metastasi di due centimetri nel cervello. La malattia è estesa al quarto stadio, non operabile. Si tratta di una donna di 53 anni, sana e forte, grande lavoratrice e ahimè, grande fumatrice. Tutto è stato scoperto in seguito ad una crisi epilettica dovuta alla metastasi cerebrale. Dopo un lungo iter di accertamenti che tutti qui conoscono bene, sono state fatte diagnosi e prognosi. Mi sono stupita di come i medici dell'ospedale in cui è in cura non abbiano menzionato le aspettative di vita finché, dopo più di un mese dalla conoscenza della malattia e successivamente alla presa di coscienza della gravità della situazione, suo marito si è fatto coraggio e ha posto domande ben precise. Ci hanno detto che ogni caso è unico, ma le statistiche parlano chiaro: attualmente la sopravvivenza a 5 anni è di meno dell’1-2% per i pazienti con malattia estesa e l'aspettativa di vita media va dai 6 ai 18 mesi dal termine del trattamento chemioterapico.
In questo caso la tristezza che ti invade il cuore è infinita. Questi numeri ti spezzano le gambe. Vorresti rannicchiarti e non pensare a niente. Noi abbiamo preferito non esporle pienamente la gravità della sua malattia, tanto meno le statistiche in merito, anche perché lei non lo ha chiesto e conosciamo bene il suo carattere, però tutti i giorni mi domando se sia giusto o meno non informarla pienamente dei fatti; io, ad esempio, vorrei saperlo, ma andrei a leggermi il referto e mi informerei personalmente, lei non lo ha fatto, si fida di noi.
Non parlo del malato, perché anche se cerco di immedesimarmi, non credo che si possa comprendere a pieno quello che è lo stato d'animo di queste persone, anche perché varia a seconda del carattere di ciascuno. Ma posso affermare che noi familiari, che ci avviciniamo per la prima volta al male, ci troviamo in un mondo nuovo, un Inferno in Terra lo definirei, fatto di terminologie mediche nuove, di ospedali, di domande e sofferenze lette negli occhi delle persone malate, di ansie, di paure e tantissime incognite. Io personalmente, oltre al dolore, sono dominata dal senso di impotenza e la sera quando vado a letto mi interrogo, chiedendomi se per le ventiquattro ore appena trascorse ho fatto abbastanza. Ho paura di perdere la persona a cui voglio bene, di vederla soffrire soprattutto. Non so cosa ci aspetterà.
L'ansia che in un primo momento ha prevalso in me, è stata tutta incentrata nella ricerca di informazioni, per comprendere di cosa stessi parlando per poi trovare la cura migliore. Sono andata allo IEO di Milano, ho richiesto consulti privati, ma alla fine tutti i medici dicono che per questo genere di malattia la terapia è standardizzata da ormai vent'anni, non ci sono cure sperimentali, né alternative terapeutiche. Da così tanto tempo la gente muore nella sofferenza totale e non siamo neanche in grado di investire in ricerca. Il mio senso di impotenza è grande, non posso fare niente se non aspettare. Aspettare cosa poi? L'esito della TC per vedere progressi o regressi e poi? Sì, lo so, posso sperare che rientri in quel 1-2% e starle vicina con tutto il mio cuore, posso cercare di farle vivere dei giorni sereni e godere a pieno di quello che rimane. Questo è il mio scopo ogni giorno che mi alzo dal letto, la speranza è forte, non mi abbandona, ma razionalmente non posso accettare questa condizione. Possibile che non ci sia davvero altro da fare?
Comunque a parte l'amarezza dovuta soprattutto alla rabbia che si ha dentro quando si affrontano questi grandi drammi, il sentimento che prevale in noi è la voglia di lottare, il bene e l'esigenza di starle il più vicini possibile. Quello che spesso mi getta in uno stato di inconsapevolezza è il fatto che lei è perfettamente in forma, anzi, avendo smesso di fumare dopo tanti anni la sua voce è limpidissima come non l'avevo mai sentita, la sua pelle è fresca e a parte qualche effetto collaterale della chemioterapia non accusa problemi. Pensare alla scomparsa di una persona esteriormente sana (l'unico segno della malattia è dato dalla caduta dei capelli) è impossibile.
Le hanno prescritto sei cicli di chemioterapia con cisplatino ed etoposide, ne ha terminati tre, aspettiamo la fine del mese per la TC di verifica. Inoltre ha eseguito dieci cicli di radioterapia panencefalica per la metastasi cerebrale.
Mi sono dilungata, ho perso il filo del discorso e non ho ancora esposto il motivo del mio post. Vi scrivo per chiedere a chi ha già vissuto questa situazione, cosa riserva il futuro dal punto di vista pratico. So che il primo step è attendere il risultato della TC di controllo, ma supponiamo che ci desse buone speranze, so che una volta terminati i sei cicli di chemioterapia, sempre che il suo fisico li tolleri e sopporti bene, inizia il periodo cosiddetto "follow-up", in cui si eseguono controlli programmati e si attende, purtroppo la ricomparsa del tumore. Ma in questo lasso di tempo il malato come sta? Di cosa ha bisogno? Può condurre una vita normale? Esiste qualche caso di cronicizzazione della malattia? Ho letto tanto dal punto di vista scientifico e medico, ma non sono riuscita a trovare esperienze dirette di chi ha già combattuto con questo specifico male. Non riesco a rassegnarmi all'idea di una scadenza così breve. Possibile che non ci siano alternative terapeutiche? Qualcuno ha sentito parlare della fitoterapia della Dott.ssa ....... a Francoforte? Se qualcuno può dirmi qualcosa gliene sarei profondamente grata. Grazie a tutti e vi auguro di avere tanta forza e speranza.