Ballerò e sorriderò per te
Inviato: mer 4 giu 2014, 21:01
Amore mio, domani avresti compiuto 52 anni. L’unico progetto che abbiamo fatto insieme durante i 100 giorni della malattia: andare in Grecia a ballare il sirtaki per il tuo compleanno. Quello che tu sapevi era che non saresti guarito ma c’erano cure che avrebbero fermato o almeno rallentato il tumore. Bisognava solo abituarsi a conviverci. Quello che sapevo io era che non c’era niente da fare. E con tutto l’amore che mi è stato possibile mi sono convinta della tua versione.
Forse perché ho rischiato di vederti andar via d’improvviso dopo il ricovero d’urgenza, l’edema cerebrale ti stava portando in coma ( 3 medici nei 10 giorni precedenti continuavano a dire che eri solo depresso e anche al pronto soccorso erano dello stesso parere, ma io capivo che non era così e ho insistito finchè non si sono decisi a fare una TAC).
Forse perché in 4 giorni abbiamo scoperto cos’è un tumore, una metastasi, tante metastasi, intervento, niente più intervento, radioterapia, chemioterapia (poi mai fatta, non c’è stato il tempo).
Forse perché, superato il rischio coma, sei stato bene, solo tanto stanco; andavi allegramente a fare radioterapia, scherzando e ironizzando su tutto.
Forse perché hai rischiato ancora il coma per gli effetti della radioterapia ma pian piano, un po’ al giorno ti sei ripreso benissimo.
Forse perché dopo 9 anni di convivenza ci eravamo sposati da meno di un anno ed eravamo serenamente felici e la mancanza di figli ci permetteva di sentirci ancora molto giovani.
Ancora non so cos’è stato a cancellare quel misto di disperazione, rabbia, paura dei primi giorni. So solo che sono diventata ottimista perché tu fossi ottimista, non ti ho mai detto bugie né nascosto niente ma filtravo ogni cosa e nascondevo, anche a me stessa, la gravità della situazione. Una sola cosa non ti ho detto e tu non l’hai mai chiesta: quanto tempo restava. Sarebbe stato poco, poco sarebbe stato anche un anno, anche due, anche dieci. Mi guardavi interrogando i miei occhi per capire se quanto mi dicevano i medici ai colloqui era preoccupante, se avevo pianto. Ti sei fidato completamente di me, affidato a me, abbiamo pianto insieme ma abbiamo anche riso tanto. Siamo riusciti anche a ridere dell’assenza dei tuoi parenti, venuti a stento per quella insulsa e rapida visita in ospedale e poi spariti. Siamo stati soli ma sono convinta che essere soli ci ha permesso di vivere intensamente ogni istante dei giorni che miracolosamente ci sono stati concessi. Non ti ho lasciato neanche per un attimo, non dormivo perché tu dormissi tranquillo che ero vicina a te, per farmi riposare mi volevi abbracciata a fianco a te nel letto dell’ospedale. Un mese d’ospedale e poi finalmente a casa. Per riprenderti dalla radioterapia, in attesa di proseguire con la chemioterapia. Io sapevo che sarebbe stata inutile ma tu stavi davvero bene ed eri pronto ad affrontarla, ad affrontarne le conseguenze. E così ho sperato anch’io in un miracolo, in qualcosa che potesse darci più tempo. Col terrore che tu potessi iniziare a stare male. Nell’attesa abbiamo cominciato ad uscire tutti i pomeriggi, poche ore perché ti stancavi facilmente. Quanti chilometri abbiamo fatto, sempre in auto, al mare, in montagna, in giro per paesini sconosciuti, a perderci nei boschi, 200 km per andare a prendere una camomilla tu e io un the in un anonimo bar. Per ogni uscita una colonna sonora, 2 o 3 CD al giorno, per ascoltarli, commentarli e cantarci su. E ascoltando il tema di Zorba di Teodorakis abbiamo fatto quell’unico progetto che ti era tanto piaciuto e che ci ha fatto sognare. Quanto siano stati felici! Forse un po' incoscienti ma felici.
Quando ci hanno chiamati dall’ospedale, ricovero per controlli ed esami prima della chemioterapia, eravamo così fiduciosi che sarebbe andato tutto bene e nello stesso tempo eravamo spaventati. Ma gli esami hanno evidenziato una situazione che ha sorpreso gli stessi medici. Neanche il medico dell’assistenza domiciliare si era reso conto di quanto devastante fosse il tuo male. Stavi così bene. Invece non c’era più tempo per niente niente niente. Solo tornare a casa.
Amore mio, te ne sei andato dolcemente, senza soffrire, lasciandomi un senso di pace in quell’ultimo bacio che mi hai dato. Mi manchi, son passati due mesi e mi manchi sempre di più. Domani verrò a trovarti e poi a casa ballerò il sirtaki. E sorriderò pensando a come ti brillavano gli occhi quando abbiamo fantasticato, quel pomeriggio di marzo, sul viaggio in Grecia.
Forse perché ho rischiato di vederti andar via d’improvviso dopo il ricovero d’urgenza, l’edema cerebrale ti stava portando in coma ( 3 medici nei 10 giorni precedenti continuavano a dire che eri solo depresso e anche al pronto soccorso erano dello stesso parere, ma io capivo che non era così e ho insistito finchè non si sono decisi a fare una TAC).
Forse perché in 4 giorni abbiamo scoperto cos’è un tumore, una metastasi, tante metastasi, intervento, niente più intervento, radioterapia, chemioterapia (poi mai fatta, non c’è stato il tempo).
Forse perché, superato il rischio coma, sei stato bene, solo tanto stanco; andavi allegramente a fare radioterapia, scherzando e ironizzando su tutto.
Forse perché hai rischiato ancora il coma per gli effetti della radioterapia ma pian piano, un po’ al giorno ti sei ripreso benissimo.
Forse perché dopo 9 anni di convivenza ci eravamo sposati da meno di un anno ed eravamo serenamente felici e la mancanza di figli ci permetteva di sentirci ancora molto giovani.
Ancora non so cos’è stato a cancellare quel misto di disperazione, rabbia, paura dei primi giorni. So solo che sono diventata ottimista perché tu fossi ottimista, non ti ho mai detto bugie né nascosto niente ma filtravo ogni cosa e nascondevo, anche a me stessa, la gravità della situazione. Una sola cosa non ti ho detto e tu non l’hai mai chiesta: quanto tempo restava. Sarebbe stato poco, poco sarebbe stato anche un anno, anche due, anche dieci. Mi guardavi interrogando i miei occhi per capire se quanto mi dicevano i medici ai colloqui era preoccupante, se avevo pianto. Ti sei fidato completamente di me, affidato a me, abbiamo pianto insieme ma abbiamo anche riso tanto. Siamo riusciti anche a ridere dell’assenza dei tuoi parenti, venuti a stento per quella insulsa e rapida visita in ospedale e poi spariti. Siamo stati soli ma sono convinta che essere soli ci ha permesso di vivere intensamente ogni istante dei giorni che miracolosamente ci sono stati concessi. Non ti ho lasciato neanche per un attimo, non dormivo perché tu dormissi tranquillo che ero vicina a te, per farmi riposare mi volevi abbracciata a fianco a te nel letto dell’ospedale. Un mese d’ospedale e poi finalmente a casa. Per riprenderti dalla radioterapia, in attesa di proseguire con la chemioterapia. Io sapevo che sarebbe stata inutile ma tu stavi davvero bene ed eri pronto ad affrontarla, ad affrontarne le conseguenze. E così ho sperato anch’io in un miracolo, in qualcosa che potesse darci più tempo. Col terrore che tu potessi iniziare a stare male. Nell’attesa abbiamo cominciato ad uscire tutti i pomeriggi, poche ore perché ti stancavi facilmente. Quanti chilometri abbiamo fatto, sempre in auto, al mare, in montagna, in giro per paesini sconosciuti, a perderci nei boschi, 200 km per andare a prendere una camomilla tu e io un the in un anonimo bar. Per ogni uscita una colonna sonora, 2 o 3 CD al giorno, per ascoltarli, commentarli e cantarci su. E ascoltando il tema di Zorba di Teodorakis abbiamo fatto quell’unico progetto che ti era tanto piaciuto e che ci ha fatto sognare. Quanto siano stati felici! Forse un po' incoscienti ma felici.
Quando ci hanno chiamati dall’ospedale, ricovero per controlli ed esami prima della chemioterapia, eravamo così fiduciosi che sarebbe andato tutto bene e nello stesso tempo eravamo spaventati. Ma gli esami hanno evidenziato una situazione che ha sorpreso gli stessi medici. Neanche il medico dell’assistenza domiciliare si era reso conto di quanto devastante fosse il tuo male. Stavi così bene. Invece non c’era più tempo per niente niente niente. Solo tornare a casa.
Amore mio, te ne sei andato dolcemente, senza soffrire, lasciandomi un senso di pace in quell’ultimo bacio che mi hai dato. Mi manchi, son passati due mesi e mi manchi sempre di più. Domani verrò a trovarti e poi a casa ballerò il sirtaki. E sorriderò pensando a come ti brillavano gli occhi quando abbiamo fantasticato, quel pomeriggio di marzo, sul viaggio in Grecia.