IO, LA MALATTIA E I MIEI FIGLI
Inviato: ven 30 gen 2015, 18:19
Come gestire l’impatto della mia malattia sui miei figli è stata tra le prime preoccupazioni che ho avuto fin dal giorno in cui mi hanno comunicato la diagnosi di malattia e, la possibilità di consultarmi con la psicologa specializzata in pazienti oncologici, mi ha aiutato tantissimo.
I bambini percepiscono anche i minimi cambiamenti, anche se sembra che siano distratti e disinteressati, sanno percepire le tensioni e leggere negli occhi e nell’intonazione della voce dei genitori. Non possono essere tenuti all’oscuro di quanto avviene intorno a loro. Se non vengono coinvolti, la loro preoccupazione non potrebbe che crescere perché un tale comportamento da parte dei genitori verrebbe preso come un ulteriore brutto segnale relativo a qualcosa di misterioso che porta cambiamenti negativi in casa, senza permettere loro di dare una dimensione a quanto sta accadendo e, non per ultimo, un nome.
I bambini reagiscono in modo diverso da noi. Non informarli con l’intento di proteggerli potrebbe indurli a sviluppare paure peggiori della realtà pensando che l’argomento sia troppo drammatico da affrontare.
Sin dall’inizio, è bene cominciare a dire che il papà o la mamma sono malati e, come per tutte le malattie, bisogna curarsi e che le cure possono avere degli effetti sul fisico; una “medicina amara” al pari di uno sciroppo amaro o del bruciore di una ferita. Vanno usate parole semplici e non drammatiche e far capire ai figli che se ne può parlare e invitarli a fare domande ogni volta che ne sentono il bisogno. Sono convinto che ogni genitore sappia trovare le parole e i modi giusti per parlare ai propri figli, in base alla loro età, sensibilità e maturità.
Io ho sempre cercato di tenere i miei figli informati e, anche se a volte la loro reazione è stata di assoluta indifferenza, poi ho avuto riscontro del fatto che avessero recepito i miei messaggi. Ad esempio, ho sentito mia figlia parlare con le amichette del contrassegno invalidi come un previlegio rispetto ad altri (“sai che mio papà può parcheggiare nel parcheggio invalidi?”) e mi sono ricordato che qualche giorno prima le avevo fatto notare che, da quando avevamo il contrassegno, potevamo parcheggiare vicino all’entrata del supermercato.
Mi rendo conto che non sia facile ma più se ne parla con tranquillità, con loro o con altri in loro presenza, e più loro sono sereni.
Questa è la mia esperienza che racconto senza nessun intento didattico ma solo come testimonianza nella speranza che possa essere utile a qualcuno
Pubblicato anche sulla pagina Facebook: https://www.facebook.com/pages/Mi-baste ... 6250453033
I bambini percepiscono anche i minimi cambiamenti, anche se sembra che siano distratti e disinteressati, sanno percepire le tensioni e leggere negli occhi e nell’intonazione della voce dei genitori. Non possono essere tenuti all’oscuro di quanto avviene intorno a loro. Se non vengono coinvolti, la loro preoccupazione non potrebbe che crescere perché un tale comportamento da parte dei genitori verrebbe preso come un ulteriore brutto segnale relativo a qualcosa di misterioso che porta cambiamenti negativi in casa, senza permettere loro di dare una dimensione a quanto sta accadendo e, non per ultimo, un nome.
I bambini reagiscono in modo diverso da noi. Non informarli con l’intento di proteggerli potrebbe indurli a sviluppare paure peggiori della realtà pensando che l’argomento sia troppo drammatico da affrontare.
Sin dall’inizio, è bene cominciare a dire che il papà o la mamma sono malati e, come per tutte le malattie, bisogna curarsi e che le cure possono avere degli effetti sul fisico; una “medicina amara” al pari di uno sciroppo amaro o del bruciore di una ferita. Vanno usate parole semplici e non drammatiche e far capire ai figli che se ne può parlare e invitarli a fare domande ogni volta che ne sentono il bisogno. Sono convinto che ogni genitore sappia trovare le parole e i modi giusti per parlare ai propri figli, in base alla loro età, sensibilità e maturità.
Io ho sempre cercato di tenere i miei figli informati e, anche se a volte la loro reazione è stata di assoluta indifferenza, poi ho avuto riscontro del fatto che avessero recepito i miei messaggi. Ad esempio, ho sentito mia figlia parlare con le amichette del contrassegno invalidi come un previlegio rispetto ad altri (“sai che mio papà può parcheggiare nel parcheggio invalidi?”) e mi sono ricordato che qualche giorno prima le avevo fatto notare che, da quando avevamo il contrassegno, potevamo parcheggiare vicino all’entrata del supermercato.
Mi rendo conto che non sia facile ma più se ne parla con tranquillità, con loro o con altri in loro presenza, e più loro sono sereni.
Questa è la mia esperienza che racconto senza nessun intento didattico ma solo come testimonianza nella speranza che possa essere utile a qualcuno
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