Dentro un cancer movie
Inviato: ven 1 gen 2016, 19:14
Sono nuovo del forum quindi spero che questo sia il posto giusto dove presentarsi e scrivere il primo post. Vivo da anni dentro un cancer movie come figlio di due bellissime persone che hanno dovuto fare i conti con il cancro e sentivo il bisogno di condividere con qualcuno quello che mi sta succedendo, e siccome l'unico modo in cui riesco a farlo è scrivere ho cercato su internet un posto dove farlo e sono finito qui.
E scrivo dalla mia stazione spaziale dove vivo da venti anni, da quando i dottori hanno messo una tuta da astronauta a mio padre e l’hanno spedito sul pianeta cancro. L’ho guardato morire da quassù di tumore ai polmoni, perchè per quanto gli volessi bene e ci abbia provato non sono riuscito a stare con lui sul suo pianeta. Magari scrivo delle banalità ma la sua malattia era fatta anche di solitudine, di un dolore che chi era intorno a lui non poteva capire, nemmeno io che avevo appena 19 anni. Ho pensato spesso a lui come a un astronauta. Non voglio sminuire o ironizzare e spero che non offenda nessuno questa metafora ma seriamente, immagino sia così per tutti, che chi si ammala finisca per sentirsi separato dagli altri in qualche modo come chi parte per un pianeta con un razzo.
Noi abbiamo provato con tutte le nostre forze a seguirlo, così, io, mia madre e mio fratello siamo saliti su una stazione spaziale e siamo stati in orbita intorno al suo pianeta per non farlo sentire solo, per cercare di salvarlo. E anche noi abbiamo finito per sentirci separati da tutto il resto del mondo, credo sia questo che succede quando una persona si ammala di cancro. Almeno questo è successo a noi. Tutti gli altri hanno continuato a vivere normalmente mentre noi eravamo lassù nello spazio a guardare nostro padre fare l’astronauta.
Poi nel 2008 anche mia madre ha lasciato la stazione spaziale ed è andata su un suo personale pianeta cancro. Quando i dottori le hanno detto le due parole che avevamo già sentito, “cancro ai polmoni”, siamo tornati indietro di 10 anni, solo che stavolta l’astronauta era lei e sulla stazione spaziale c’eravamo solo io e mio fratello. Da quel giorno nella sua tuta ingombrante ha provato 5 tipi di tumore: alla testa, al pancreas, alle ossa, di nuovo ai polmoni e al pancreas e poi operazioni, chemioterapie, radioterapie, terapie del dolore e decine di altre cose dolorose e mai risolutive. Certe volte mi ricorda The Martian, l’astronauta del fim con Matt Damon, me lo ricorda per come è combattiva e per come ha trovato il suo modo di vivere nel suo pianeta. Contro ogni previsione è lì da anni che non si arrende all’inospitalità del posto su cui l’hanno spedita. Credo che senta le cose diversamente da noi. Che tutto sia troppo lontano o troppo vicino per lei. Vedo cose banali e stupide come una bolletta che la feriscono a morte e la vedo impassibile quando i medici le fanno l’elenco degli effetti collaterali della chemio.
A volte le dico che capisco quello che sta provando ma so che non è così.
E so che nessuno di noi può andare laggiù a recuperarla.
E questo è doloroso.
In The Martian a un certo punto Matt Damon è eccitato per essere riuscito a piantare patate su Marte, balla felice davanti alle telecamere, tante volte anche noi ci siamo sentiti così davanti a degli esami buoni o a una tac negativa. Qualche scena dopo però una tempesta fa fuori l’orto marziano di Matt Damon e lui comincia a perdere le speranze. Dimagrisce. Si cura di meno. Con la barba incolta e gli occhi scavati è semplicemente meno felice. Ma riparte da capo.
Questa scena mi ha fatto capire come si sente mia madre più di decine di Cancer Movie che ho visto.
Sono anni che mia madre coltiva patate in piena tempesta e che noi la guardiamo ricominciare da capo ogni volta che un tornado o dei banali analisi le buttano giù tutto. Non so se c’è qualcos’altro nel mondo che ha lo stesso potere di farmi sentire così inutile e in colpa per i miei tentativi di vivere mentre lei lotta contro cose così enormi.
Leggendo i post di altre persone qua sul forum ho capito che per molti è così, e in un modo del tutto assurdo o privo di logica, mi ha fatto sentire meno solo. Quindi grazie
E scrivo dalla mia stazione spaziale dove vivo da venti anni, da quando i dottori hanno messo una tuta da astronauta a mio padre e l’hanno spedito sul pianeta cancro. L’ho guardato morire da quassù di tumore ai polmoni, perchè per quanto gli volessi bene e ci abbia provato non sono riuscito a stare con lui sul suo pianeta. Magari scrivo delle banalità ma la sua malattia era fatta anche di solitudine, di un dolore che chi era intorno a lui non poteva capire, nemmeno io che avevo appena 19 anni. Ho pensato spesso a lui come a un astronauta. Non voglio sminuire o ironizzare e spero che non offenda nessuno questa metafora ma seriamente, immagino sia così per tutti, che chi si ammala finisca per sentirsi separato dagli altri in qualche modo come chi parte per un pianeta con un razzo.
Noi abbiamo provato con tutte le nostre forze a seguirlo, così, io, mia madre e mio fratello siamo saliti su una stazione spaziale e siamo stati in orbita intorno al suo pianeta per non farlo sentire solo, per cercare di salvarlo. E anche noi abbiamo finito per sentirci separati da tutto il resto del mondo, credo sia questo che succede quando una persona si ammala di cancro. Almeno questo è successo a noi. Tutti gli altri hanno continuato a vivere normalmente mentre noi eravamo lassù nello spazio a guardare nostro padre fare l’astronauta.
Poi nel 2008 anche mia madre ha lasciato la stazione spaziale ed è andata su un suo personale pianeta cancro. Quando i dottori le hanno detto le due parole che avevamo già sentito, “cancro ai polmoni”, siamo tornati indietro di 10 anni, solo che stavolta l’astronauta era lei e sulla stazione spaziale c’eravamo solo io e mio fratello. Da quel giorno nella sua tuta ingombrante ha provato 5 tipi di tumore: alla testa, al pancreas, alle ossa, di nuovo ai polmoni e al pancreas e poi operazioni, chemioterapie, radioterapie, terapie del dolore e decine di altre cose dolorose e mai risolutive. Certe volte mi ricorda The Martian, l’astronauta del fim con Matt Damon, me lo ricorda per come è combattiva e per come ha trovato il suo modo di vivere nel suo pianeta. Contro ogni previsione è lì da anni che non si arrende all’inospitalità del posto su cui l’hanno spedita. Credo che senta le cose diversamente da noi. Che tutto sia troppo lontano o troppo vicino per lei. Vedo cose banali e stupide come una bolletta che la feriscono a morte e la vedo impassibile quando i medici le fanno l’elenco degli effetti collaterali della chemio.
A volte le dico che capisco quello che sta provando ma so che non è così.
E so che nessuno di noi può andare laggiù a recuperarla.
E questo è doloroso.
In The Martian a un certo punto Matt Damon è eccitato per essere riuscito a piantare patate su Marte, balla felice davanti alle telecamere, tante volte anche noi ci siamo sentiti così davanti a degli esami buoni o a una tac negativa. Qualche scena dopo però una tempesta fa fuori l’orto marziano di Matt Damon e lui comincia a perdere le speranze. Dimagrisce. Si cura di meno. Con la barba incolta e gli occhi scavati è semplicemente meno felice. Ma riparte da capo.
Questa scena mi ha fatto capire come si sente mia madre più di decine di Cancer Movie che ho visto.
Sono anni che mia madre coltiva patate in piena tempesta e che noi la guardiamo ricominciare da capo ogni volta che un tornado o dei banali analisi le buttano giù tutto. Non so se c’è qualcos’altro nel mondo che ha lo stesso potere di farmi sentire così inutile e in colpa per i miei tentativi di vivere mentre lei lotta contro cose così enormi.
Leggendo i post di altre persone qua sul forum ho capito che per molti è così, e in un modo del tutto assurdo o privo di logica, mi ha fatto sentire meno solo. Quindi grazie