uno sfogo
Inviato: mar 3 mag 2016, 12:25
Ciao a tutti,
mi chiamo Leonardo, ho 21 anni. Sono iscritto a questo forum da molti mesi, da quando a mia madre è stato diagnosticato un adenocarcinoma polmonare. Non ho mai trovato la forza di parlare in questa sede della mia storia, forse perché parlarne significa riconoscerla come reale.
Io, invece, credo di non essere ancora riuscito ad accettare quello che ci è successo. Nel corso di questi mesi ho cercato di fuggire dal problema, sia fisicamente che metaforicamente; mi sono rifiutato di affrontare la realtà dei fatti e mi chiedo se sarò mai in grado di farlo.
Premetto che mia madre ad oggi continua a combattere la sua battaglia, in modo coraggioso ed ottimista; come del resto ha affrontato le non poche sfide cui la vita l'ha già sottoposta. Nonostante la funesta diagnosi - e relativa prognosi - ha scelto di combattere per me e mio fratello. Ha intrapreso un trattamento sperimentale che, per ora, le permette di sopravvivere. E per questo sono grato.
Ma sono comunque molto arrabbiato, triste e - in dei momenti - disperato. Ed è per questo che voglio condividere la mia esperienza, perché ho pensato che potesse far bene a me e magari anche a chi, leggendo questo post, si rispecchiasse in ciò che sento. Mi risulta difficile esprimere in modo coerente tutti i pensieri che mi passano per la mente, ma ci proverò lo stesso.
Mia madre ha cresciuto sola me e mio fratello dopo che, moltissimi anni fa, nostro padre è morto. Luminosa è l'aggettivo che la descrive meglio. Ci ha inondato di amore, di calore e di protezione. Nonostante sia cresciuto con un solo genitore, ho avuto un'infanzia bellissima, felice e spensierata grazie a lei; e sia io e che mio fratello sappiamo che ogni piccolo successo che conquistiamo, ogni complimento che riceviamo, ogni passo in avanti che compiamo nelle nostre vite è stato raggiunto grazie a lei. Allo stesso modo, ogni nostra soddisfazione è in primis un omaggio a lei, che ci ha dato l'esempio. Ci dà l'esempio ancora oggi, ogni giorno, alzandosi e affrontando in modo relativamente sereno e pacifico quello che verrà. Non vuole che questa malattia ci devasti, per questo tiene tutto per sé e va avanti col sorriso. Ma ho imparato ad interpretarla, a decifrare il suo sguardo perso, la preoccupazione e soprattutto la consapevolezza. La consapevolezza che tutto è cambiato e mai, salvo miracoli, tornerà come prima; io prego ogni giorno perché qualcosa accada, ma non nascondo che spesso il pessimismo e la tristezza prendono il sopravvento. Mi dico: sei forte, ma poi finisco a piangere, nei momenti più inaspettati ed imprevedibili, perché al fondo di ogni mio pensiero c'è la malattia che ha intaccato anche noi familiari. Dal giorno della diagnosi sono inevitabilmente cambiato; mi piacerebbe dire in positivo. Ma non è così: sono diventato scontroso, lunatico, acido e invidioso. Invidioso di chi sta bene, di chi ha entrambi i genitori vivi e sani; e mi odio per questo, mi ODIO perché sto permettendo a questa malattia di rendermi una persona meschina. Ho molte persone accanto, ma nessuno capisce, nessuno può capire perché nessuno di loro sa di dover perdere la persona più importante della propria vita. E' questa la consapevolezza dilaniante, avvilente e agghiacciante: nonostante le cure, le terapie sperimentali, i miglioramenti della ricerca l'aspettativa di vita di mia madre è stata drasticamente ridotta: giorni, mesi, anni, chissà. Si sopravvive. Si va avanti in un futuro incerto e vago. Sono perfettamente cosciente che non sono l'unico a dover affrontare tutto questo; migliaia di persone ogni giorno intraprendono un percorso come questo, di dolore e rassegnazione. Ed è quello che spesso mi ripeto; perché pensavamo di esseri immuni? ''Solo'' per il fatto di aver perso già nostro padre? Ingenuamente pensavamo di aver già dato, di aver già scontato la nostra dose di traumi e lutti, ma evidentemente ci sbagliavamo. Quello che mi fa mancare - letteralmente - il respiro è l'assenza di lieto fine. L'ineluttabilità di ciò che verrà, l'impotenza davanti a qualcosa più grande di noi, la solitudine a cui ci sento condannati. Nonostante cerchi giorno dopo giorno di razionalizzare la situazione, di prepararmi piano piano alle conseguenze di una malattia grave come questa, non ci riesco. Non sono pronto a perdere mia madre; mi direte voi, chi lo è? Nessuno, certo.
Probabilmente sono io debole, troppo sensibile. Ma è troppo; è troppo vederla sfiorire giorno dopo giorno, leggerle in viso la tristezza, la solitudine e soprattutto la preoccupazione per noi che rimarremo, vedere la sua vita ridotta ai minimi termini: sopravvivere. Il cancro di mia madre è una spada di Damocle che pende su tutti noi; e tutto avrei immaginato di vivere a venti anni, tranne questo. Non riesco sinceramente a immaginare una vita in cui non ci sia lei a chiamarmi ogni giorno, ad abbracciarmi, a rassicurarmi; perché se c'è un posto in cui io mi senta al sicuro al mondo è accanto a lei.
Dal giorno della diagnosi qualcosa si è spento in me, la spensieratezza, la fiducia nel futuro, il sorriso spontaneo, la serenità. Io temo di non ritrovare mai più quella pace, e questo mi rende infinitamente triste. Temo che questo dolore mi impedirà di sperare ancora in qualcosa di bello.
Ringrazio coloro che abbiano avuto la pazienza di leggere questo sfogo.
Leonardo
mi chiamo Leonardo, ho 21 anni. Sono iscritto a questo forum da molti mesi, da quando a mia madre è stato diagnosticato un adenocarcinoma polmonare. Non ho mai trovato la forza di parlare in questa sede della mia storia, forse perché parlarne significa riconoscerla come reale.
Io, invece, credo di non essere ancora riuscito ad accettare quello che ci è successo. Nel corso di questi mesi ho cercato di fuggire dal problema, sia fisicamente che metaforicamente; mi sono rifiutato di affrontare la realtà dei fatti e mi chiedo se sarò mai in grado di farlo.
Premetto che mia madre ad oggi continua a combattere la sua battaglia, in modo coraggioso ed ottimista; come del resto ha affrontato le non poche sfide cui la vita l'ha già sottoposta. Nonostante la funesta diagnosi - e relativa prognosi - ha scelto di combattere per me e mio fratello. Ha intrapreso un trattamento sperimentale che, per ora, le permette di sopravvivere. E per questo sono grato.
Ma sono comunque molto arrabbiato, triste e - in dei momenti - disperato. Ed è per questo che voglio condividere la mia esperienza, perché ho pensato che potesse far bene a me e magari anche a chi, leggendo questo post, si rispecchiasse in ciò che sento. Mi risulta difficile esprimere in modo coerente tutti i pensieri che mi passano per la mente, ma ci proverò lo stesso.
Mia madre ha cresciuto sola me e mio fratello dopo che, moltissimi anni fa, nostro padre è morto. Luminosa è l'aggettivo che la descrive meglio. Ci ha inondato di amore, di calore e di protezione. Nonostante sia cresciuto con un solo genitore, ho avuto un'infanzia bellissima, felice e spensierata grazie a lei; e sia io e che mio fratello sappiamo che ogni piccolo successo che conquistiamo, ogni complimento che riceviamo, ogni passo in avanti che compiamo nelle nostre vite è stato raggiunto grazie a lei. Allo stesso modo, ogni nostra soddisfazione è in primis un omaggio a lei, che ci ha dato l'esempio. Ci dà l'esempio ancora oggi, ogni giorno, alzandosi e affrontando in modo relativamente sereno e pacifico quello che verrà. Non vuole che questa malattia ci devasti, per questo tiene tutto per sé e va avanti col sorriso. Ma ho imparato ad interpretarla, a decifrare il suo sguardo perso, la preoccupazione e soprattutto la consapevolezza. La consapevolezza che tutto è cambiato e mai, salvo miracoli, tornerà come prima; io prego ogni giorno perché qualcosa accada, ma non nascondo che spesso il pessimismo e la tristezza prendono il sopravvento. Mi dico: sei forte, ma poi finisco a piangere, nei momenti più inaspettati ed imprevedibili, perché al fondo di ogni mio pensiero c'è la malattia che ha intaccato anche noi familiari. Dal giorno della diagnosi sono inevitabilmente cambiato; mi piacerebbe dire in positivo. Ma non è così: sono diventato scontroso, lunatico, acido e invidioso. Invidioso di chi sta bene, di chi ha entrambi i genitori vivi e sani; e mi odio per questo, mi ODIO perché sto permettendo a questa malattia di rendermi una persona meschina. Ho molte persone accanto, ma nessuno capisce, nessuno può capire perché nessuno di loro sa di dover perdere la persona più importante della propria vita. E' questa la consapevolezza dilaniante, avvilente e agghiacciante: nonostante le cure, le terapie sperimentali, i miglioramenti della ricerca l'aspettativa di vita di mia madre è stata drasticamente ridotta: giorni, mesi, anni, chissà. Si sopravvive. Si va avanti in un futuro incerto e vago. Sono perfettamente cosciente che non sono l'unico a dover affrontare tutto questo; migliaia di persone ogni giorno intraprendono un percorso come questo, di dolore e rassegnazione. Ed è quello che spesso mi ripeto; perché pensavamo di esseri immuni? ''Solo'' per il fatto di aver perso già nostro padre? Ingenuamente pensavamo di aver già dato, di aver già scontato la nostra dose di traumi e lutti, ma evidentemente ci sbagliavamo. Quello che mi fa mancare - letteralmente - il respiro è l'assenza di lieto fine. L'ineluttabilità di ciò che verrà, l'impotenza davanti a qualcosa più grande di noi, la solitudine a cui ci sento condannati. Nonostante cerchi giorno dopo giorno di razionalizzare la situazione, di prepararmi piano piano alle conseguenze di una malattia grave come questa, non ci riesco. Non sono pronto a perdere mia madre; mi direte voi, chi lo è? Nessuno, certo.
Probabilmente sono io debole, troppo sensibile. Ma è troppo; è troppo vederla sfiorire giorno dopo giorno, leggerle in viso la tristezza, la solitudine e soprattutto la preoccupazione per noi che rimarremo, vedere la sua vita ridotta ai minimi termini: sopravvivere. Il cancro di mia madre è una spada di Damocle che pende su tutti noi; e tutto avrei immaginato di vivere a venti anni, tranne questo. Non riesco sinceramente a immaginare una vita in cui non ci sia lei a chiamarmi ogni giorno, ad abbracciarmi, a rassicurarmi; perché se c'è un posto in cui io mi senta al sicuro al mondo è accanto a lei.
Dal giorno della diagnosi qualcosa si è spento in me, la spensieratezza, la fiducia nel futuro, il sorriso spontaneo, la serenità. Io temo di non ritrovare mai più quella pace, e questo mi rende infinitamente triste. Temo che questo dolore mi impedirà di sperare ancora in qualcosa di bello.
Ringrazio coloro che abbiano avuto la pazienza di leggere questo sfogo.
Leonardo