Mio papà
Inviato: mer 18 ott 2017, 20:26
Buona giornata,
vi scrivo gentilmente, per la prima volta, senza sapere bene come parlarne, per cercare un confronto sulla situazione di mio padre, che temo sia arrivata a un grado d'irreale disordine e abbandono che non so in quale modo risolvere favorevolmente.
Come spesso accade, qui da noi "si va di fretta e di corsa", ognuno formula il suo parere nel minor tempo possibile, o si rimanda al collega, o se ne discute la posizione, o ci si perde in procedimenti inconsistenti, lasciando implicitamente che siano i familiari del paziente a sostituirsi, talvolta continuamente e/o profondamente, al personale medico, sempre che il paziente lo si voglia mantenere vivo.
La malattia ci ha portato via la nostra vita. Siamo rimasti mio padre ed io, isolati dal mondo, senza più sapere di chi ci possiamo fidare.
Prima del tumore e delle altre patologie emerse (cerebrovasculopatia multipla con scompenso cardiaco), mio padre a 57 anni era all'apice di una quarantennale carriera con un ruolo di grande importanza, perennemente attivo e psicofisicamente giovane.
Il giorno delle dimissioni dall'ospedale, mio padre non c'era più.
Sono seguiti due anni di malattia steso su un divano, un altro anno e mezzo di non ben chiara "presenza", poi le dimissioni dietro compenso.
Pur considerando la gravità del profilo clinico, nonostante non sapesse più mettere in fila due parole, nessuno ha mai offerto qualche forma d'assistenza, riabilitazione o di aiuto, neppure una parola d'indicazione. Solo un silenzio d'astensione, come fosse tutto normale.
L'anno successivo gli esami riportarono un marcato deficit cognitivo, compromissione grave delle funzioni esecutive e mnesiche, a cui si sommavano deliri, visioni, fortissime paranoie, perdita della capacità di giudizio, che però vedevo solo io, quando era a casa.
Ho dovuto rieducarlo e salvarlo da condizioni pericolose che credevo esistessero solo in letteratura come casi limite.
Dopo sei anni di completa assenza d'intervento sanitario, dopo aver perso lavoro, vita sociale, abitudini, patente, tutto, il medico di base, vista la condizione, ci ha proposto e certificato l'invalidità con accompagnamento. (Il fatto che, a questo punto, dopo tutto quello che ci è successo, ci fosse offerto del denaro, lo trovavo umiliante. In ogni caso, ho seguito il parere del medico e ho portato mio padre alla commissione ASL)
Il verbale della Commissione riporta:
"INVALIDO con TOTALE e permanente inabilità lavorativa 100% e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani (L.18/80)". Codice DM 1001
"Ai sensi dell'art.4 delle legge 05 febbraio 1992 n.104, la Commissione Medica riconosce l'interessato: PORTATORE DI HANDICAP IN SITUAZIONE DI GRAVITA' (COMMA 3 ART.3)"
Tuttavia, ritenendo la documentazione fornita non del tutto esauriente, la commissione Inps ha richiesto una rivalutazione neuropsicologica completa, che si è tenuta oggi e dove si è presentata l'ennesima circostanza che definirei "curiosa":
pur avendo accertato che le condizioni di mio padre sono persino peggiorate rispetto a quelle emerse dalle precedenti analisi e che hanno portato la Commissione Medica a quelle conclusioni, che c'è demenza, che c'è tutto quello che vogliamo, la neuropsicologa si è chiesta la ragione, il motivo del parere della commissione ASL e ci ha avvisati che, come l'Inps, per lei non sembrano esserci gli estremi per l'accompagnamento.
A questo punto, secondo voi, come dovrei comportarmi?
Mille grazie veramente, un caro saluto,
Davide
vi scrivo gentilmente, per la prima volta, senza sapere bene come parlarne, per cercare un confronto sulla situazione di mio padre, che temo sia arrivata a un grado d'irreale disordine e abbandono che non so in quale modo risolvere favorevolmente.
Come spesso accade, qui da noi "si va di fretta e di corsa", ognuno formula il suo parere nel minor tempo possibile, o si rimanda al collega, o se ne discute la posizione, o ci si perde in procedimenti inconsistenti, lasciando implicitamente che siano i familiari del paziente a sostituirsi, talvolta continuamente e/o profondamente, al personale medico, sempre che il paziente lo si voglia mantenere vivo.
La malattia ci ha portato via la nostra vita. Siamo rimasti mio padre ed io, isolati dal mondo, senza più sapere di chi ci possiamo fidare.
Prima del tumore e delle altre patologie emerse (cerebrovasculopatia multipla con scompenso cardiaco), mio padre a 57 anni era all'apice di una quarantennale carriera con un ruolo di grande importanza, perennemente attivo e psicofisicamente giovane.
Il giorno delle dimissioni dall'ospedale, mio padre non c'era più.
Sono seguiti due anni di malattia steso su un divano, un altro anno e mezzo di non ben chiara "presenza", poi le dimissioni dietro compenso.
Pur considerando la gravità del profilo clinico, nonostante non sapesse più mettere in fila due parole, nessuno ha mai offerto qualche forma d'assistenza, riabilitazione o di aiuto, neppure una parola d'indicazione. Solo un silenzio d'astensione, come fosse tutto normale.
L'anno successivo gli esami riportarono un marcato deficit cognitivo, compromissione grave delle funzioni esecutive e mnesiche, a cui si sommavano deliri, visioni, fortissime paranoie, perdita della capacità di giudizio, che però vedevo solo io, quando era a casa.
Ho dovuto rieducarlo e salvarlo da condizioni pericolose che credevo esistessero solo in letteratura come casi limite.
Dopo sei anni di completa assenza d'intervento sanitario, dopo aver perso lavoro, vita sociale, abitudini, patente, tutto, il medico di base, vista la condizione, ci ha proposto e certificato l'invalidità con accompagnamento. (Il fatto che, a questo punto, dopo tutto quello che ci è successo, ci fosse offerto del denaro, lo trovavo umiliante. In ogni caso, ho seguito il parere del medico e ho portato mio padre alla commissione ASL)
Il verbale della Commissione riporta:
"INVALIDO con TOTALE e permanente inabilità lavorativa 100% e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani (L.18/80)". Codice DM 1001
"Ai sensi dell'art.4 delle legge 05 febbraio 1992 n.104, la Commissione Medica riconosce l'interessato: PORTATORE DI HANDICAP IN SITUAZIONE DI GRAVITA' (COMMA 3 ART.3)"
Tuttavia, ritenendo la documentazione fornita non del tutto esauriente, la commissione Inps ha richiesto una rivalutazione neuropsicologica completa, che si è tenuta oggi e dove si è presentata l'ennesima circostanza che definirei "curiosa":
pur avendo accertato che le condizioni di mio padre sono persino peggiorate rispetto a quelle emerse dalle precedenti analisi e che hanno portato la Commissione Medica a quelle conclusioni, che c'è demenza, che c'è tutto quello che vogliamo, la neuropsicologa si è chiesta la ragione, il motivo del parere della commissione ASL e ci ha avvisati che, come l'Inps, per lei non sembrano esserci gli estremi per l'accompagnamento.
A questo punto, secondo voi, come dovrei comportarmi?
Mille grazie veramente, un caro saluto,
Davide