Ma chi ha il diritto di dire che è finita la speranza?
Inviato: ven 1 dic 2017, 22:00
Ciao a tutti e grazie per la sincerità con cui vi confrontate su questo forum. Leggervi è molto utile e confortante per chi, come me, dal 10 agosto affronta la diagnosi di Glioblastoma IV nel lobo temporale sinistro della propria madre, 72 anni appena compiuti e mai una malattia, nemmeno banale, sinora.
In due parole, la sua storia e poi passo alla domanda che vorrei rivolgervi: operata il 5 settembre con resezione all'85%, esce dall'operazione "come nuova" e senza alcuna conseguenza. Comincia il 3 ottobre un ciclo di 30 sedute di radio + Temodal: affronta tutto con un coraggio e una resistenza che stupisce anche i medici. Sino all'ultima settimana di terapia, in cui ha un evidente crollo: parla sempre meno, si regge in piedi con fatica, mangia meno. I medici, sostendendo che sia tutto normale, me la dimettono il 18 novembre, dicendo: "la porti a casa, la faccia mangiare e riposare e ci vediamo il 9 gennaio per la prima risonanza di controllo".
A casa appare evidente che non sta bene: comincia a rifiutare il cibo, parla pochissimo. Ambulanza, pronto soccorso, ricovero in pneumologia con la diagnosi di polmonite (due focolai nel polmone sinistro). In occasione del ricovero, le fanno anche una Tac al cervello e mi dicono che "il mostro" è lì fermo, non sta creando problemi nè recidive al momento. Naturalmente, su un'immunodepressa la polmonite è seria e può essere fatale, quindi tutti i medici mi invitano ad essere consapevole della gravità della cosa. E fin qui, direi, niente di strano.
Ma vengo al punto: nonostante mamma stia reagendo agli antibiotici e piano piano la polmonite si stia risolvendo, i medici mi hanno già convocato due volte per dirmi che - secondo loro - la destinazione successiva alla pneumologia è un hospice, non potendo loro fare più nulla per la sua malattia (ma va? Come se mi aspettassi che avessero trovato la cura per il glioblastoma....) ed essendo lei un malato terminale. Chiedo che mi venga chiarito il termine "terminale": è in fin di vita? ha una settimana? La risposta è sempre la stessa: ah, chi può saperlo questo.
Ora: vi assicuro che qui non si parla di una figlia che non vuole accettare la malattia della madre. Ma mi piacerebbe proprio capire - e lo chiedo a voi - per quale diavolo di ragione non possiamo ipotizzare che mia madre abbia davanti anche un tempo breve di ripresa e che lo si possa passare o in una clinica riabilitativa o a casa, non in un luogo come l'hospice. Vi prego, non ditemi che l'hospice non è necessariamente l'anticamera della morte: purtroppo. vero o falso che sia, lo è nella mia testa e nella mia percezione e questo rende questa soluzione inaccettabile, per noi.
La sgradevole impressione che ho è che, per i medici, un malato di glioblastoma non meriti cure. E che quindi, per loro, sia la cosa più semplice dirti di parcheggiarla all'hospice.
Ripeto: ma chi lo dice che non ha davanti ancora del tempo da passare con noi?
Grazie per le risposte che vorrete darmi. Abbraccio tutti voi che state soffrendo per i vostri cari.
Eli <3
In due parole, la sua storia e poi passo alla domanda che vorrei rivolgervi: operata il 5 settembre con resezione all'85%, esce dall'operazione "come nuova" e senza alcuna conseguenza. Comincia il 3 ottobre un ciclo di 30 sedute di radio + Temodal: affronta tutto con un coraggio e una resistenza che stupisce anche i medici. Sino all'ultima settimana di terapia, in cui ha un evidente crollo: parla sempre meno, si regge in piedi con fatica, mangia meno. I medici, sostendendo che sia tutto normale, me la dimettono il 18 novembre, dicendo: "la porti a casa, la faccia mangiare e riposare e ci vediamo il 9 gennaio per la prima risonanza di controllo".
A casa appare evidente che non sta bene: comincia a rifiutare il cibo, parla pochissimo. Ambulanza, pronto soccorso, ricovero in pneumologia con la diagnosi di polmonite (due focolai nel polmone sinistro). In occasione del ricovero, le fanno anche una Tac al cervello e mi dicono che "il mostro" è lì fermo, non sta creando problemi nè recidive al momento. Naturalmente, su un'immunodepressa la polmonite è seria e può essere fatale, quindi tutti i medici mi invitano ad essere consapevole della gravità della cosa. E fin qui, direi, niente di strano.
Ma vengo al punto: nonostante mamma stia reagendo agli antibiotici e piano piano la polmonite si stia risolvendo, i medici mi hanno già convocato due volte per dirmi che - secondo loro - la destinazione successiva alla pneumologia è un hospice, non potendo loro fare più nulla per la sua malattia (ma va? Come se mi aspettassi che avessero trovato la cura per il glioblastoma....) ed essendo lei un malato terminale. Chiedo che mi venga chiarito il termine "terminale": è in fin di vita? ha una settimana? La risposta è sempre la stessa: ah, chi può saperlo questo.
Ora: vi assicuro che qui non si parla di una figlia che non vuole accettare la malattia della madre. Ma mi piacerebbe proprio capire - e lo chiedo a voi - per quale diavolo di ragione non possiamo ipotizzare che mia madre abbia davanti anche un tempo breve di ripresa e che lo si possa passare o in una clinica riabilitativa o a casa, non in un luogo come l'hospice. Vi prego, non ditemi che l'hospice non è necessariamente l'anticamera della morte: purtroppo. vero o falso che sia, lo è nella mia testa e nella mia percezione e questo rende questa soluzione inaccettabile, per noi.
La sgradevole impressione che ho è che, per i medici, un malato di glioblastoma non meriti cure. E che quindi, per loro, sia la cosa più semplice dirti di parcheggiarla all'hospice.
Ripeto: ma chi lo dice che non ha davanti ancora del tempo da passare con noi?
Grazie per le risposte che vorrete darmi. Abbraccio tutti voi che state soffrendo per i vostri cari.
Eli <3