Io non mi sento malata
Inviato: ven 23 ago 2019, 15:23
Una nuova testimonianza importante è interessante
Franco
Uno stanzone enorme. Gente che va e gente che viene. Ogni tanto una voce chiama un numero e una persona si alza e si allontana. Uomini e donne di età indefinibile in attesa di una chiamata. In comune solo due cose: un foglietto con un numero e un nemico silenzioso e devastante che sta erodendo il corpo dall'interno.
Un alone di tristezza e depressione aleggia nell'aria, ma non per me. Non so perché, ma non riesco a sentirmi malata. Sono stata operata di carcinoma al seno un mese fa. Ho una cicatrice che dal capezzolo sinistro affonda nell'ascella sinistra, ma non mi sento malata. Certo mi fa impressione toccare questo solco estraneo, ma è estraneo, non lo sento mio.
Tutto nasce da una pallina al seno. Per scrupolo sono andata dal senologo che ha operato mia madre, sicura che fosse una cazzata e invece mi sono ritrovata in un letto di ospedale nel giro di pochi giorni.
Ora sono qui per la mia seconda chemio. Gli effetti devastanti delle cure sono già più che visibili: sono completamente calva.
Ma tutto ciò invece di deprimermi ha sortito un effetto ludico: come una bambina che gioca con i tacchi alti della mamma io gioco a fare la diva, avvolta in morbidi foulard alla Grace Kelly.
Mi mettono tristezza le parrucche. Sarà che ne vedo tante qui intorno che incorniciano visi tristi e dolenti. Una sorta di vergogna a mostrare la malattia che hanno spesso i malati di cancro. Io no non ho vergogna. Io non voglio nascondermi, voglio lottare a viso aperto e soprattutto al bando la paura e la tristezza.
So che devo passare un'ora in una stanza stesa su una poltrona e con un ago piantato nel braccio. Intorno a me altre poltrone, altre persone, altri aghi piantati nel braccio. E in questi casi per passare il tempo si chiacchiera come in un salotto all'ora del te. Ma l’argomento è sempre lo stesso: il cancro.
La volta scorsa contavo ogni goccia del liquido che defluiva lentamente dalla bottiglia di vetro attraverso un tubicino per giungere fin dentro la mia vena. Il tempo non passava mai. Mi turbavano i mesti visi incorniciati da improbabili parrucche delle donne difronte a me. Mi ossessionavano le loro voci che raccontavano la malattia.
Ci voleva un po’ di musica per stordirmi e farmi volare altrove.
Ecco, mi hanno chiamato. Stavolta sono attrezzata: un Ipad, un paio di cuffie e una playlist ad hoc. Brani musicali ma anche frammenti di vita. Forse inconsciamente è un modo per esorcizzare lo spettro della morte che aleggia nell'aria, nelle conversazioni delle signore accanto, nelle loro improbabili parrucche, nelle migliaia di goccioline che scendono da una bottiglia di vetro attraverso un tubicino per giungere fin dentro la mia vena.
Mi siedo, mi infilano l'ago, sistemo cuffie e Ipad e via, si parte.
Franco
Uno stanzone enorme. Gente che va e gente che viene. Ogni tanto una voce chiama un numero e una persona si alza e si allontana. Uomini e donne di età indefinibile in attesa di una chiamata. In comune solo due cose: un foglietto con un numero e un nemico silenzioso e devastante che sta erodendo il corpo dall'interno.
Un alone di tristezza e depressione aleggia nell'aria, ma non per me. Non so perché, ma non riesco a sentirmi malata. Sono stata operata di carcinoma al seno un mese fa. Ho una cicatrice che dal capezzolo sinistro affonda nell'ascella sinistra, ma non mi sento malata. Certo mi fa impressione toccare questo solco estraneo, ma è estraneo, non lo sento mio.
Tutto nasce da una pallina al seno. Per scrupolo sono andata dal senologo che ha operato mia madre, sicura che fosse una cazzata e invece mi sono ritrovata in un letto di ospedale nel giro di pochi giorni.
Ora sono qui per la mia seconda chemio. Gli effetti devastanti delle cure sono già più che visibili: sono completamente calva.
Ma tutto ciò invece di deprimermi ha sortito un effetto ludico: come una bambina che gioca con i tacchi alti della mamma io gioco a fare la diva, avvolta in morbidi foulard alla Grace Kelly.
Mi mettono tristezza le parrucche. Sarà che ne vedo tante qui intorno che incorniciano visi tristi e dolenti. Una sorta di vergogna a mostrare la malattia che hanno spesso i malati di cancro. Io no non ho vergogna. Io non voglio nascondermi, voglio lottare a viso aperto e soprattutto al bando la paura e la tristezza.
So che devo passare un'ora in una stanza stesa su una poltrona e con un ago piantato nel braccio. Intorno a me altre poltrone, altre persone, altri aghi piantati nel braccio. E in questi casi per passare il tempo si chiacchiera come in un salotto all'ora del te. Ma l’argomento è sempre lo stesso: il cancro.
La volta scorsa contavo ogni goccia del liquido che defluiva lentamente dalla bottiglia di vetro attraverso un tubicino per giungere fin dentro la mia vena. Il tempo non passava mai. Mi turbavano i mesti visi incorniciati da improbabili parrucche delle donne difronte a me. Mi ossessionavano le loro voci che raccontavano la malattia.
Ci voleva un po’ di musica per stordirmi e farmi volare altrove.
Ecco, mi hanno chiamato. Stavolta sono attrezzata: un Ipad, un paio di cuffie e una playlist ad hoc. Brani musicali ma anche frammenti di vita. Forse inconsciamente è un modo per esorcizzare lo spettro della morte che aleggia nell'aria, nelle conversazioni delle signore accanto, nelle loro improbabili parrucche, nelle migliaia di goccioline che scendono da una bottiglia di vetro attraverso un tubicino per giungere fin dentro la mia vena.
Mi siedo, mi infilano l'ago, sistemo cuffie e Ipad e via, si parte.