Aiutare un familiare con tumore e depressione
Inviato: dom 24 ott 2021, 10:00
Ciao a tutti e tutte.
È il mio primo messaggio su questo forum, scrivo per sapere se qualcuno abbia passato ciò che sta passando la mia famiglia.
Ho 35 anni, e mio padre (che ne ha compiuti da poco 70) lotta da 4 anni esatti col tumore.
Tumore che si è presentato nella vescica e di cui ci siamo accorti il giorno dopo che era entrato nella nuova casa, quella in cui doveva godersi la pensione con la sua adorata moglie, dato che noi figli viviamo tutti lontani.
E vabbè, la vita ha sempre la sua ironia.
Il tumore purtroppo non è stato curato nel modo migliore all’inizio (era già in stadio avanzato ma sono state prese scelte mediche davvero opinabili, su cui non voglio dilungarmi). Si è arrivati dopo i primi due anni all’asportazione di vescica e prostata.
Ma fin qui papà reagiva tutto sommato ancora bene. Ha sempre avuto un carattere ottimista, allegro, è sempre stato l’anima dei ritrovi con i tanti parenti e amici, innamorato della musica e delle sue tastiere, della buona tavola, di noi figli. Ha reagito a tutto nel modo giusto, non aveva neanche mai perso i capelli con le prime chemio, non perdeva un etto nonostante gli fosse consigliato per l’operazione.
Le cose hanno iniziato a precipitare quando ci siamo accorti che le metastasi (prima localizzate su una clavicola, un’anca e una delle due gambe, ma con nessun dolore percepito) erano arrivate ai polmoni (e in misura molto minore al fegato).
Da allora (cioè da circa 6 mesi) papà è diventato un’altra persona. Non saprei come definire il suo stato: ho scritto nel titolo “depressione” ma dopotutto non sono sicura che si possa definire così. È in cura da uno psichiatra che gli ha prescritto un antidepressivo, ma la neurologa che aveva visto prima gli aveva detto, “signore, lei non è depresso, è triste.”
Fatto sta che papà sembra quasi catatonico.
È assente. Piange tutto il giorno, o produce un lamento continuo, che lo affatica anche, e che diventa logorante per chi vive con lui (mia madre, che non so come stia facendo a non impazzire). Bisogna parlargli e convincerlo per ore solo per farlo alzare dal letto, o per fargli fare due passi in casa. Non esce, non suona, quasi non parla, si limita a piangere, dormire. Ha anche sviluppato un tic alla mandibola, che muove costantemente in avanti. A domande dirette “hai dolore fisico?” “Di cosa hai paura?” risponde “non lo so”, ma a fatica dopo lunghi silenzi. Io non ho mai visto nessuno reagire così alla malattia, purtroppo è diventato un disagio molto ma molto peggiore della malattia stessa. Paradossalmente fisicamente non ha ancora problemi insormontabili, nel senso che respira, cammina, può mangiare, comunicare.
Siamo affranti perché vorremmo che si godesse gli ultimi mesi (?) della sua vita, ma così è uno strazio senza senso. Lui dice “sono stanco, voglio morire”, ma la nostra impressione è che non sia così, infatti non manifesta il desiderio di interrompere la chemio (l’oncologo, a mia madre, ha detto che fosse per lui si fermerebbe).
Mia madre è distrutta, dopo anni di lotta (ha dovuto anche imparare a gestire la stomia di mio padre e fa un lavoro egregio in tutto) non riconosce più suo marito che sembra un guscio vuoto.
Vi confesso che cerco di non minimizzare assolutamente il tormento che prova mio padre, ma una parte di me è delusa, e mi sento in colpa per ciò che scrivo, ma sono delusa dalla sua reazione. Noi figli continuiamo a prenderci permessi, investire denaro e tempo per stargli vicino quando possibile (alcuni di noi sono all’estero e vi lascio immaginare quanto sia facile con una pandemia), ma vederlo in questo stato a volte ci riempie di frustrazione. Non riusciamo a capire fino a che punto sia colpa della malattia e degli psicofarmaci, e fino a che punto non si possa davvero spronarlo a reagire meglio. Assecondarlo o spronarlo?
È davvero difficile.
Vi ringrazio per aver letto fin qui e spero di leggere alcune risposte.
È il mio primo messaggio su questo forum, scrivo per sapere se qualcuno abbia passato ciò che sta passando la mia famiglia.
Ho 35 anni, e mio padre (che ne ha compiuti da poco 70) lotta da 4 anni esatti col tumore.
Tumore che si è presentato nella vescica e di cui ci siamo accorti il giorno dopo che era entrato nella nuova casa, quella in cui doveva godersi la pensione con la sua adorata moglie, dato che noi figli viviamo tutti lontani.
E vabbè, la vita ha sempre la sua ironia.
Il tumore purtroppo non è stato curato nel modo migliore all’inizio (era già in stadio avanzato ma sono state prese scelte mediche davvero opinabili, su cui non voglio dilungarmi). Si è arrivati dopo i primi due anni all’asportazione di vescica e prostata.
Ma fin qui papà reagiva tutto sommato ancora bene. Ha sempre avuto un carattere ottimista, allegro, è sempre stato l’anima dei ritrovi con i tanti parenti e amici, innamorato della musica e delle sue tastiere, della buona tavola, di noi figli. Ha reagito a tutto nel modo giusto, non aveva neanche mai perso i capelli con le prime chemio, non perdeva un etto nonostante gli fosse consigliato per l’operazione.
Le cose hanno iniziato a precipitare quando ci siamo accorti che le metastasi (prima localizzate su una clavicola, un’anca e una delle due gambe, ma con nessun dolore percepito) erano arrivate ai polmoni (e in misura molto minore al fegato).
Da allora (cioè da circa 6 mesi) papà è diventato un’altra persona. Non saprei come definire il suo stato: ho scritto nel titolo “depressione” ma dopotutto non sono sicura che si possa definire così. È in cura da uno psichiatra che gli ha prescritto un antidepressivo, ma la neurologa che aveva visto prima gli aveva detto, “signore, lei non è depresso, è triste.”
Fatto sta che papà sembra quasi catatonico.
È assente. Piange tutto il giorno, o produce un lamento continuo, che lo affatica anche, e che diventa logorante per chi vive con lui (mia madre, che non so come stia facendo a non impazzire). Bisogna parlargli e convincerlo per ore solo per farlo alzare dal letto, o per fargli fare due passi in casa. Non esce, non suona, quasi non parla, si limita a piangere, dormire. Ha anche sviluppato un tic alla mandibola, che muove costantemente in avanti. A domande dirette “hai dolore fisico?” “Di cosa hai paura?” risponde “non lo so”, ma a fatica dopo lunghi silenzi. Io non ho mai visto nessuno reagire così alla malattia, purtroppo è diventato un disagio molto ma molto peggiore della malattia stessa. Paradossalmente fisicamente non ha ancora problemi insormontabili, nel senso che respira, cammina, può mangiare, comunicare.
Siamo affranti perché vorremmo che si godesse gli ultimi mesi (?) della sua vita, ma così è uno strazio senza senso. Lui dice “sono stanco, voglio morire”, ma la nostra impressione è che non sia così, infatti non manifesta il desiderio di interrompere la chemio (l’oncologo, a mia madre, ha detto che fosse per lui si fermerebbe).
Mia madre è distrutta, dopo anni di lotta (ha dovuto anche imparare a gestire la stomia di mio padre e fa un lavoro egregio in tutto) non riconosce più suo marito che sembra un guscio vuoto.
Vi confesso che cerco di non minimizzare assolutamente il tormento che prova mio padre, ma una parte di me è delusa, e mi sento in colpa per ciò che scrivo, ma sono delusa dalla sua reazione. Noi figli continuiamo a prenderci permessi, investire denaro e tempo per stargli vicino quando possibile (alcuni di noi sono all’estero e vi lascio immaginare quanto sia facile con una pandemia), ma vederlo in questo stato a volte ci riempie di frustrazione. Non riusciamo a capire fino a che punto sia colpa della malattia e degli psicofarmaci, e fino a che punto non si possa davvero spronarlo a reagire meglio. Assecondarlo o spronarlo?
È davvero difficile.
Vi ringrazio per aver letto fin qui e spero di leggere alcune risposte.