Il mio primo racconto. Mio padre.
Il mio primo racconto. Mio padre.
Ciao a tutti. Mi chiamo Roberta, ho 25 anni.
Non so come si comincia questo genere di cose. Ho perso mio padre per un tumore occulto (probabilmente ai reni) a maggio dello scorso anno.
Circa un anno fa era scivolato dentro casa, aveva sbattuto la spalla e accusava dei forti dolori. Dopo un po' di tempo abbiamo capito che c'era qualcosa che non andava e dopo varie analisi è venuto fuori che c'era un tumore: non si trovava, non si vedeva, non si poteva operare e togliere, ma c'era un tumore. Da lì, per dieci mesi, è iniziato il nostro calvario. La nostra corsa contro il tempo.
Mio padre era un caso raro, rarissimo, e nonostante le migliori cure e l'impegno di medici eccezionali, cure sperimentali americane, punture costosissime e chemio in pasticche, non ce l'ha fatta.
La notte in ospedale non riusciva a dormire, così una mattina hanno deciso di dargli qualcosa che lo aiutasse per il sonno. Si è addormentato, e io, mia madre e mia sorella eravamo contente che si stesse riposando. Mi ricordo che siamo uscite sul balcone e mangiavamo, contro voglia, un pezzo di pizza. Era maggio, c'era il sole e si sentivano i versi dei gabbiani. Mio padre adorava questo periodo dell'anno, adorava "rapirci" dai nostri impegni per un week end al mare, e mentre pensavamo a tutto questo, lui dormiva. E semplicemente non si è mai più svegliato. Gli organi hanno cominciato a cedere uno dopo l'altro, il corpo non reagiva più alle terapie. Ci hanno detto che era entrato in coma e che gli rimanevano poche ore. La notte stessa ha smesso di respirare e se n'è andato così.
Non ho potuto salutarlo, non ho potuto parlargli un'ultima volta, dirgli grazie per tutte quelle cose per cui i figli ogni tanto odiano i padri, quelle cose che si capiscono solo dopo; non ho potuto dirgli grazie per questi splendidi 25 anni passati insieme, per le vacanze in camper in giro per il mondo, per quella spaghettata sotto la torre Eiffel, per le sue lacrime silenziose il giorno della mia laurea, per avermi spinto ad essere sempre quella che sono, per la sua saggezza, per avermi insegnato a non accontentarmi se so che posso fare di più, per aver avuto fiducia nelle altre persone, per aver messo la sua famiglia sempre e comunque prima di tutto, per i pomeriggi passati con la testa sui libri di matematica, per aver portato via mamma dai fornelli per farla ballare sulle note di A little thing called love dei Queen con i mutandoni e i calzini fino al ginocchio, per i suoi biglietti di auguri pensati e scritti con l'amore che solo un padre potrà mai dimostrarti.
Non ho potuto dirgli grazie per tutto questo, e anche se so che lui era consapevole di quanto bene gli volessi, ho paura di non avergli mai mostrato questo amore e questa riconoscenza in tutta la sua immensità. Perchè noi giovani tendiamo a scansarvi, o a dare per scontato che sappiate che vi vogliamo bene, che siamo quello che siamo grazie a voi; tendiamo a pensare che queste cose le sapete e che non vadano ribadite.
Ho passato i mesi successivi avvolta in una nube, confusa e stordita come se qualcuno mi tenesse perennemente la testa sotto l'acqua e il mondo mi arrivasse ovattato.
Ho odiato i nostri amici malati anche loro di tumore per essere ancora vivi dopo anni di battaglie. E mi sono vergognata per questo, da morire.
Ho smesso di pensare al futuro, ho smesso di immaginarmi una vita da adulta, con un marito e dei bambini, perchè la verità è che nulla di questo poteva avere senso se lui non poteva essere qui.
Ho avuto la tentazione, a 4 esami dalla laurea, di mollare tutto, e passare le giornate ubriaca o lontano da qualsiasi persona, cosa o posto me lo ricordasse.
Ho sognato e sogno l'istante in cui il suo cuore smette di battere e mia madre lo abbraccia piangendo a dirotto e il cielo si mette a urlare e la stanza si accartoccia su stessa, per tante, troppi notti insonni da quel maledetto giorno.
Ma non ho mollato. Ho vissuto quel dolore così devastante, quel peso così grosso da portare ma non gli ho permesso di schiacciarmi.
E l'ho fatto per lui. Lo faccio per lui.
Ogni giorno, quando mi sveglio e apro gli occhi, e realizzo che quella è solo l'ennesima giornata in cui mio padre non c'è più, prendo un bel respiro e cerco di pensare a tutto quello che ha fatto per me, a quanto non vorrebbe mai che mi arrendessi e a come sarebbe deluso nel vedermi allo sbando.
Mi sforzo, con ogni fibra del mio essere, di rendere quelle giornate così vuote della sua presenza, piene di momenti con le persone a cui voglio bene, facendo il mio dovere, sprecando meno tempo a litigare, arrabbiarmi, intristirmi o stressarmi per cose che non hanno importanza se guardate sotto la prospettiva che tragedie come questa ti fanno avere.
La vita è breve, e mio padre che non ha mai avuto un stile di vita irresponsabile o dannoso, che ha programmato i viaggi a tavolino e non si è mai acceso una sigaretta se ne è andato una sera di maggio come chiunque altro. Sarà banale, ma se a 25 anni devo trarre qualche lezione da tutto ciò è che non c'è abbastanza tempo per stressarsi per cose futili, o per andare a letto arrabbiati con la persona che si ama, o per continuare a rimandare una vacanza, una telefonata, una birra con un amico.
Quando ti accorgi, in un attimo soltanto, che la vita è così drammaticamente breve e fragile, quello, questo è per me il momento di cambiare prospettiva, di smetterla con i "se" e iniziare a programmare e fare tutto quello che si pensa sia rimandabile a domani.
Questo, come tantissime altre meravigliose cose, lo devo a te, papà.
Non so come si comincia questo genere di cose. Ho perso mio padre per un tumore occulto (probabilmente ai reni) a maggio dello scorso anno.
Circa un anno fa era scivolato dentro casa, aveva sbattuto la spalla e accusava dei forti dolori. Dopo un po' di tempo abbiamo capito che c'era qualcosa che non andava e dopo varie analisi è venuto fuori che c'era un tumore: non si trovava, non si vedeva, non si poteva operare e togliere, ma c'era un tumore. Da lì, per dieci mesi, è iniziato il nostro calvario. La nostra corsa contro il tempo.
Mio padre era un caso raro, rarissimo, e nonostante le migliori cure e l'impegno di medici eccezionali, cure sperimentali americane, punture costosissime e chemio in pasticche, non ce l'ha fatta.
La notte in ospedale non riusciva a dormire, così una mattina hanno deciso di dargli qualcosa che lo aiutasse per il sonno. Si è addormentato, e io, mia madre e mia sorella eravamo contente che si stesse riposando. Mi ricordo che siamo uscite sul balcone e mangiavamo, contro voglia, un pezzo di pizza. Era maggio, c'era il sole e si sentivano i versi dei gabbiani. Mio padre adorava questo periodo dell'anno, adorava "rapirci" dai nostri impegni per un week end al mare, e mentre pensavamo a tutto questo, lui dormiva. E semplicemente non si è mai più svegliato. Gli organi hanno cominciato a cedere uno dopo l'altro, il corpo non reagiva più alle terapie. Ci hanno detto che era entrato in coma e che gli rimanevano poche ore. La notte stessa ha smesso di respirare e se n'è andato così.
Non ho potuto salutarlo, non ho potuto parlargli un'ultima volta, dirgli grazie per tutte quelle cose per cui i figli ogni tanto odiano i padri, quelle cose che si capiscono solo dopo; non ho potuto dirgli grazie per questi splendidi 25 anni passati insieme, per le vacanze in camper in giro per il mondo, per quella spaghettata sotto la torre Eiffel, per le sue lacrime silenziose il giorno della mia laurea, per avermi spinto ad essere sempre quella che sono, per la sua saggezza, per avermi insegnato a non accontentarmi se so che posso fare di più, per aver avuto fiducia nelle altre persone, per aver messo la sua famiglia sempre e comunque prima di tutto, per i pomeriggi passati con la testa sui libri di matematica, per aver portato via mamma dai fornelli per farla ballare sulle note di A little thing called love dei Queen con i mutandoni e i calzini fino al ginocchio, per i suoi biglietti di auguri pensati e scritti con l'amore che solo un padre potrà mai dimostrarti.
Non ho potuto dirgli grazie per tutto questo, e anche se so che lui era consapevole di quanto bene gli volessi, ho paura di non avergli mai mostrato questo amore e questa riconoscenza in tutta la sua immensità. Perchè noi giovani tendiamo a scansarvi, o a dare per scontato che sappiate che vi vogliamo bene, che siamo quello che siamo grazie a voi; tendiamo a pensare che queste cose le sapete e che non vadano ribadite.
Ho passato i mesi successivi avvolta in una nube, confusa e stordita come se qualcuno mi tenesse perennemente la testa sotto l'acqua e il mondo mi arrivasse ovattato.
Ho odiato i nostri amici malati anche loro di tumore per essere ancora vivi dopo anni di battaglie. E mi sono vergognata per questo, da morire.
Ho smesso di pensare al futuro, ho smesso di immaginarmi una vita da adulta, con un marito e dei bambini, perchè la verità è che nulla di questo poteva avere senso se lui non poteva essere qui.
Ho avuto la tentazione, a 4 esami dalla laurea, di mollare tutto, e passare le giornate ubriaca o lontano da qualsiasi persona, cosa o posto me lo ricordasse.
Ho sognato e sogno l'istante in cui il suo cuore smette di battere e mia madre lo abbraccia piangendo a dirotto e il cielo si mette a urlare e la stanza si accartoccia su stessa, per tante, troppi notti insonni da quel maledetto giorno.
Ma non ho mollato. Ho vissuto quel dolore così devastante, quel peso così grosso da portare ma non gli ho permesso di schiacciarmi.
E l'ho fatto per lui. Lo faccio per lui.
Ogni giorno, quando mi sveglio e apro gli occhi, e realizzo che quella è solo l'ennesima giornata in cui mio padre non c'è più, prendo un bel respiro e cerco di pensare a tutto quello che ha fatto per me, a quanto non vorrebbe mai che mi arrendessi e a come sarebbe deluso nel vedermi allo sbando.
Mi sforzo, con ogni fibra del mio essere, di rendere quelle giornate così vuote della sua presenza, piene di momenti con le persone a cui voglio bene, facendo il mio dovere, sprecando meno tempo a litigare, arrabbiarmi, intristirmi o stressarmi per cose che non hanno importanza se guardate sotto la prospettiva che tragedie come questa ti fanno avere.
La vita è breve, e mio padre che non ha mai avuto un stile di vita irresponsabile o dannoso, che ha programmato i viaggi a tavolino e non si è mai acceso una sigaretta se ne è andato una sera di maggio come chiunque altro. Sarà banale, ma se a 25 anni devo trarre qualche lezione da tutto ciò è che non c'è abbastanza tempo per stressarsi per cose futili, o per andare a letto arrabbiati con la persona che si ama, o per continuare a rimandare una vacanza, una telefonata, una birra con un amico.
Quando ti accorgi, in un attimo soltanto, che la vita è così drammaticamente breve e fragile, quello, questo è per me il momento di cambiare prospettiva, di smetterla con i "se" e iniziare a programmare e fare tutto quello che si pensa sia rimandabile a domani.
Questo, come tantissime altre meravigliose cose, lo devo a te, papà.
Re: Il mio primo racconto. Mio padre.
Le tue parole sono commoventi cara Roberta...eh si è proprio vero che quando ti succede una cosa come quella che è accaduta a tuo papà..o nel mio caso al mio compagno..ti rendi conto che la vita è breve..dannatamente breve per perdersi in stupidaggini..va vissuta fino all 'ultimo momento nel migliore dei modi..la malattia ha l'unico pregio di farci veramente capire quanto è importante vivere davvero e non fare in modo che la vita scorra e noi la inseguiamo ... sono sicura che tuo papà sapesse quanto tu lo amassi... e che ti abbia trasmesso dei valori forti.. vorrebbe che ora tu sorridessi alla vita..che purtroppo a lui è sfuggita di mano..ma invece x te è solo all'inizio..sei molto giovane..se è vero che dal tuo nick Name capisco che 90 è il tuo anno di nascita hai la stessa età di mia sorella... ma sei una donna di grande spessore..e davvero saggia..nessuna parola potrà mai consolarti per questo dolore... solo la consapevolezza che tu hai fatto il massimo per tuo papà ti darà mano a mano che il tempo passa la forza di vivere pensando che lui ti avrebbe voluta felice..un grosso abbraccio
Re: Il mio primo racconto. Mio padre.
Cara mia, cuanto vorrei che tutti, figli o genitori che sia leggesi cuanto hai scritto. Io sono una mamma malata di cancro è ti posso dire che non è poco l'amore che voi , familiari ci dimostrano ogni giorno d nostra vita. Quello che si sente va detto nel momento giusto. Nn perche siamo malati aviamo bisogno d sentire una parola in piu. Non devi avere rimpianto. Nn si condivide solo con la parola. Un abbraccio
La morte di un uomo mi toglie sempre cualcosa, perche io sono parte dell'umanità. E dunque non chiedete mai per chi suona la campana : essa suona per noi.
Re: Il mio primo racconto. Mio padre.
@greta: grazie greta, mi dispiace per la tua perdita. Come giustamente dici aanche tu il tempo aiuta ad andare avanti anche se certe ferite non spariranno mai. Si va avanti per chi ci sta intorno, come tu ben sai.
@ Avefenix: un grandissimo in bocca al lupo per il tuo percorso, e un grandissimo abbraccio
@ Avefenix: un grandissimo in bocca al lupo per il tuo percorso, e un grandissimo abbraccio
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Re: Il mio primo racconto. Mio padre.
Bella..sei proprio una bella figlia!..
Re: Il mio primo racconto. Mio padre.
Rob...scusami. .mi sono resa conto che nel messaggio non sono stata chiara io mi riferivo alla malattia del mio compagno..che ha avuto un melanoma con metastasi. .ma x fortuna è ancora qui con me. .intendevo dire che la malattia ti fa prendere le misure con la vita. .A volte ti fa sentire beffato..Altre te la fa amare ancora di più...un abbraccio
Re: Il mio primo racconto. Mio padre.
@Alessandra: grazie ma è merito loro!
@Greta: oddio scusami tanto, avevo letto male! Sono contenta di aver capito male allora!
@Greta: oddio scusami tanto, avevo letto male! Sono contenta di aver capito male allora!
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